«A Chiavazza il disagio è già tra i bambini»

All’assemblea pubblica di giovedì sera l’appello-allarme delle maestre di materna ed elementare. Lasciato cadere nel silenzio

L’elefante nella stanza si chiama disagio sociale: pericoloso, angosciante quando se ne vedono i sintomi già tra i bambini delle scuole, nascosto come se nessuno lo volesse vedere. All’assemblea pubblica di Chiavazza di giovedì sera lo hanno indicato, a testa alta e con la voce emozionata, le maestre della materna e dell’elementare: «Già a quattro o cinque anni» hanno detto «si percepiscono le situazioni difficili di questo quartiere». Erano quasi le undici di sera, dopo più di due ore di dibattito tra sindaco, assessori e cittadini (più di duecento) in un teatro parrocchiale che si era concentrato sulla necessità di garantire sicurezza con più telecamere, di dare una mano al commercio, di badare al decoro con le manutenzioni puntuali di parchi, strade e cimiteri, perfino di tombini che s’intasano. Per il sindaco Marzio Olivero e per gli assessori Cristiano Franceschini e Giacomo Moscarola è stato facile rispondere, prendendo nota e promettendo attenzione e interventi puntuali.

Ma quando hanno parlato le maestre, le timide reazioni sono state un applausino dalla platea e un appello dal palco (ma non degli amministratori) a fare squadra tra associazioni, istituzioni, oratorio. Eppure le loro parole erano un segnale d’allarme enorme: «Se non interveniamo ora, fra pochi anni sulle strade avremo un problema ancora più grande». Nelle aule e durante le lezioni, sono state loro a captare forti e chiari i sintomi di disagio di chi vive in contesti familiari e sociali complicati, ricchi di esempi sbagliati che condizionano i comportamenti. Non è una questione (per ora) di ordine pubblico ma di educazione: «Questi bambini meritano di crescere in un contesto sano che indichi loro la strada giusta. Purtroppo quello che possiamo fare a scuola spesso viene completamente perso quando tornano nel loro ambiente». Ma arrendersi non si può: «Lavoriamo insieme, scuola, associazioni e istituzioni, per fare qualcosa per loro».

Parole fragorose come una bomba che esplode, ma passato il boato è tornato il velo invisibile a coprire l’elefante nella stanza: la platea è tornata a occuparsi di foglie secche da spazzare e torrenti da ripulire, come se nulla fosse stato detto o quasi. Quando, ad assemblea pubblica finita, le maestre si sono fermate un po’ più a lungo nel teatro parrocchiale, si è avvicinato solo qualcuno: una pacca sulla spalla, un “brave”, e poi a casa. Anche gli amministratori sono passati loro accanto senza fermarsi, con fogli di appunti in tasca pieni di segnalazioni sul decoro urbano ma senza il desiderio di una domanda in più. Una lucina sul problema, almeno, si è accesa. Spetta a molti ora far sì che non si spenga.

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