Alla scoperta della memoria agricola con gli Amici del Vernato. Foto
«Una splendida e riuscitissima passeggiata fra le antiche cascine del Vernato» così l'associazione Amici del Vernato ha salutato l'evento alla scoperta della memoria agricola.
Foto tratte dalla pagina Facebook dell'associazione Amici del Vernato.
“La vera sorgente della ricchezza pubblica è la campagna... le altre industrie e il commercio non potranno raggiungere il loro completo svolgimento se prima l’agricoltura non sarà meglio studiata nelle sue condizioni e favorita nei suoi bisogni.” Così con una impressionante visione sul futuro scriveva don Paolo Antoniotti nel 1882 in una monografia sull’agricoltura nel Biellese. Parole cariche di drammatica lucidità e anche di preveggenza. Nel 1896 su di un libretto “La strenna dell’agricoltore”, omaggio del Comizio Agrario Biellese ai propri associati, difende ulteriormente l’agricoltura ricordando che “l’agricoltura è la madre delle industrie”!Se negletta era l’agricoltura a quei tempi, ancora di più lo è oggi, malgrado la crisi devastante dell’industria che dura ormai da più di mezzo secolo.Tanto per usare una immagine forse abusata, si può dire che il passato contadino del Vernato si perde nella notte dei tempi. Sabato la “Associazione amici del Vernato” ha organizzato una passeggiata: una sessantina di persone hanno percorso un itinerario che ha rivisitato la storia agricola del quartiere mediante fotografie, visita a cascine quasi tutte demolite e curiosi racconti del passato sui contadini del Vernato che hanno coltivato con passione e vissuto con dignità curando le risorse della nostra terra. Dagli anni ‘50 e ‘60 si è assistito ad una profonda trasformazione economica con la rapida scomparsa o trasformazione delle cascine e degli stessi contadini. Dalle 63 famiglie contadine censite nel 1915, si è passati alle 41 del 1940 e addirittura alle cinque o sei attuali. I partecipanti hanno concluso la passeggiata alla Cascina Caveglia dove hanno trovato il gelato preparato con il latte delle loro mucche. Nel percorso si sono visti ancora orti e prati produttivi; si è ricordato l’orto di Andrea Monaco sulla strada del monte Piazzo dove l’agricoltura è naturale e rigenerativa, dove si cerca di recuperare alberi di mele antiche dai sapori particolari, a prova che anche oggi la campagna vicino a noi è sempre la “vera sorgente della ricchezza pubblica”.Senza andare troppo in la, però. Perché quando avvenne l’unione del comune autonomo del Vernato con quello di Biella, nel 1421, la popolazione del Vernato era ridotta a otto famiglie, poverissime e non in grado di pagare le tasse ducali. Quindi, pur mancando riferimenti documentali in proposito, neanche parlarne di agricoltura in senso razionale e tanto meno di cascine.Ma se il Santo vernatese per eccellenza, Biagio, (tra le altre cose protettore per esempio dall’invasione di orsi!) pure è patrono dei cardatori e per estensione di chi si occupa del tessile, dall’altro va rimarcato che gli statuti di Vernato e Ghiara, che risalgono al 1328, grondano addirittura di norme legate strettamente al mondo contadino e all’agricoltura.Il territorio del Vernato, anticamente era molto esteso (lo è ancora oggi, per la verità), comprendeva anche buona parte dell’attuale frazione Barazzetto; anche dopo la fondazione della parrocchia di San Bernardo, le cascine sui contrafforti del Barazzetto verso la pianura, restarono ancora per oltre mezzo secolo sotto la giurisdizione della parrocchia di San Biagio. Era anche esteso verso la pianura, giungendo a confondersi con i confini di Ponderano da un lato e di Mongrando dall’altro senza escludere gli immancabili litigi di confine. Alcune cascine, oggi chiaramente appartenenti al territorio di questi due Comuni finitimi, erano di giurisdizione del Vernato (per esempio Cascina Carbonera e più a sud la Marsaglia a poca distanza dal Maghetto).Anticamente la vocazione del territorio vernatese era sicuramente agricola. La maggior parte del territorio era occupato da campi, orti e anche da estesi spazi incolti di tipo baraggivo o addirittura paludoso come l’area a sud di via Tripoli e dell’attuale via Rigola , fino ai confini con l’abitato di Ponderano. La regione che ancora oggi ha conservato nel toponimo Marsaglia o Marzaglia il concetto di marcescenza. Corre addirittura memoria di un tentativo di insediamento industriale abortito appunto per la presenza di “terreno molle” incapace pertanto di sostenere materialmente il peso delle strutture.Diverso il discorso riguardante l’abitato. Tanta incertezza circonda infatti il numero, la consistenza e la dislocazione degli agglomerati urbani che via via si sono susseguiti nel tempo. Sappiamo per certo che dall’epoca romana in poi sono state fondate tre chiese: San Biagio, S. Agata e S. Maria di Campagnate.Una curiosità: molti contadini del Vernato coltivavano vari appezzamenti di terreno anche estesi (in proprietà o in affitto), lungo la strada Biella Candelo, oltre la chiesa di San Maurizio. Questa stessa chiesetta, a fine ottocento, era di proprietà di un vernatese, Bernardo Gremmo detto “al Medighin”. In maggioranza si trattava di colture a vigna per via della particolare esposizione, della natura del terreno e del microclima della regione.Fare una ricerca sul mondo contadino comporta una serie di difficoltà che vanno dalla scarsità di documenti scritti alla difficoltà di individuare oggi il soggetto “contadino”; i testimoni vanno scomparendo a vista d’occhio e quelli che ci è stato possibile raggiungere ci hanno affidato le loro memorie in racconti verbali, sovente disadorni, quasi sempre sfocati sui dettagli ma straordinariamente sinceri e vivaci nella loro veridicità.Ci siamo basati, dunque, su testimonianze orali nonché su documenti fotografici, limitando necessariamente il campo al periodo compreso tra la prima metà dell’Ottocento e il secondo dopoguerra. Successivamente, a partire dagli anni 50 e 60, si è assistito ad una profonda trasformazione economica con la rapida scomparsa di cascine e degli stessi contadini. Dalle 63 famiglie contadine censite nel 1915, si è passati alle 41 del 1940 e addirittura alle cinque o sei attuali.Un discorso a parte richiede la documentazione fotografica proposta che è l’ossatura della mostra. Non si tratta di capolavori, in qualche caso sono anche sfocate, annerite dal tempo trascorso, consunte da una lunga degenza in cassetti polverosi. Non abbiamo inteso formare una mostra d’arte siamo andati alla ricerca della testimonianza. Sono fotografie che accarezzano la memoria, che offrono uno spaccato di vita, di piccole cose che purtroppo ormai sono scomparse; di uomini, donne e bambini che comunque hanno lasciato una scia, una traccia da riconoscere!Il lavoro si articola essenzialmente in due parti: la prima centrata sull’uomo e la sua vita dalla nascita alle abitudini, ai modi di vivere alla religiosità e la seconda un percorso “geografico” attraverso il territorio Vernatese alla ricerca degli insediamenti contadini. Per comodità il territorio è stato diviso arbitrariamente in quattro zone: il vecchio Vernato e centro storico, il Thes a monte della via Ivrea, la zona sud ed infine la direttrice via Marghero e via Rosselli.La chiave di lettura della mostra stessa consiste proprio nello sforzo compiuto nel ricostruire la vita quotidiana. Una quotidianità fatta di piccole cose nelle quali, bene o male, poco o tanto,tutti coloro che sono in età di ricordare possono ritrovare brandelli della propria giovinezza. Una quotidianità, dunque, non soltanto contadina ma appartenente a tutti: un patrimonio insostituibile. Le nostre radici!Giorgio Fogliano
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