Amnesty, la voce degli ultimi, dice no alla pena di morte
Il 10 ottobre di ogni anno viene celebrata la Giornata internazionale per ricordare che l’abolizione di questa pratica è una battaglia universale per i diritti umani
Amnesty International è un movimento internazionale fondato nel 1961 dall’avvocato inglese Peter Benenson. Gode di status consultivo alle Nazioni Unite e nel 1977 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace.
È indipendente da qualsiasi governo, interesse economico, credo religioso ed è apartitico. Si finanzia attraverso l’iscrizione, le donazioni e i lasciti ed è formato da persone che lavorano insieme per promuovere la difesa dei diritti umani nel mondo.
Tutti i casi di cui si occupa sono basati su fatti documentati sul campo dai ricercatori, che verificano e segnalano le violazioni dei diritti umani. Attraverso la pressione sulle istituzioni, la mobilitazione della società civile, i progetti di educazione fuori e dentro alle scuole, le campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di raccolta firme, Amnesty dà voce a chi non ce l’ha.
Ogni anno, il 10 ottobre, attivisti e organizzazioni contro la pena di morte si mobilitano insieme per celebrare la “Giornata mondiale contro la pena di morte”, con lo scopo di denunciarne l’utilizzo e di ricordare che la sua abolizione è una battaglia universale.
Amnesty si oppone incondizionatamente alla pena di morte per i seguenti motivi.
Viola i diritti umani e il diritto alla vita: i diritti umani sono universali, indivisibili, interdipendenti e tutti i membri delle Nazioni Unite li riconoscono come standard verso i quali conformarsi. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e altri trattati regionali e internazionali riconoscono, inoltre, il diritto alla vita. Nel 2007 e nel 2008, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che chiede, fra l’altro, una moratoria sulle esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte.
È una punizione crudele, disumana e nega ogni possibilità di riabilitazione: non esiste, infatti, un metodo “umano” per uccidere. La pena di morte è irreversibile: quando è eseguita non si può più tornare indietro.
Non ha valore deterrente: nessuno studio ha mai dimostrato che la pena di morte è un deterrente più efficace di altre punizioni.
È un omicidio premeditato dello Stato: nell’eseguire una condanna a morte lo stato commette un omicidio, vale a dire l’azione stessa che vuole punire, dimostrando la medesima prontezza del criminale nell’uso della violenza.
È frutto di discriminazione e repressione: le condizioni di povertà costringono a ricorrere alla difesa d’ufficio, che spesso si rivela inadeguata. Inoltre, nelle mani di regimi autoritari la pena capitale diviene facilmente uno strumento di minaccia e repressione.
Non dà necessariamente conforto ai familiari della vittima, ma al contrario infligge loro sofferenze: la lunghezza del processo prolunga anche la sofferenza dei familiari della vittima del reato, durante il quale spesso una vita viene presa per un’altra vita, in una vera e propria forma di vendetta legalizzata. In generale, la famiglia, gli amici e tutti coloro che sono vicini al condannato soffrono come i familiari della vittima del reato.
Un errore giudiziario può uccidere un innocente: spesso sono persone innocenti a essere condannate a morte a causa di errori giudiziari, se non di vere e proprie ingiustizie premeditate (false testimonianze, irregolarità commesse dalla polizia e dall’accusa, processi svolti in una lingua sconosciuta all’imputato ma privi di traduttori, confessioni estorte con la tortura).
Il mondo ha compiuto notevoli progressi verso l’abolizione. Nel 2022 sono stati 112 i paesi completamente abolizionisti.
Il lavoro da fare, però, è ancora molto. Oggi, più di tre quarti dei Paesi nel mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica, ma Amnesty ha registrato 1153 esecuzioni in 16 Paesi nel 2023, segnando un aumento del 31% rispetto alle 883 registrate nel 2022. Questa cifra rappresenta il maggior numero di esecuzioni capitali che Amnesty ha registrato in quasi un decennio (dal 2015, quando sono state registrate 1634 esecuzioni). Il maggior numero di esecuzioni registrate hanno avuto luogo in Cina (+1000, ma il numero reale è inconoscibile per via della segretezza di stato), Iran (almeno 853), Arabia Saudita (172), Somalia (almeno 38) e Stati Uniti (24).
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