Calcio per bimbi: il sogno non deve tramontare

Parla Zorzan, direttore sportivo della FCD Cossatese, squadra nata nel 2020: «Il nostro modello sociale soffre: serve più passione»

Gestire una società sportiva sta diventando sempre più complicato. Le passioni e gli hobby di bambini e ragazzi sono mutati radicalmente, il divertimento viene spesso accantonato per lasciare spazio all’ossessione del professionismo.

Le strutture e gli impianti sono carenti quantitativamente e vecchi anagraficamente, le risorse economiche a disposizione in costante diminuzione. Le motivazioni che guidano un gruppo sportivo sono due solitamente: il divertimento e il risultato.

Ognuno trae maggiore ispirazione da uno dei due aspetti piuttosto che dall’altro.

Per entrare in questo periodo storico ostico per chi si trova a gestire una società, abbiamo scambiato pareri con Renato Augusto Zorzan, direttore sportivo e membro del direttivo della FCD Cossatese, squadra di calcio nata nel 2020 con un obiettivo molto chiaro: accogliere bambini e permettere loro di coltivare il sogno di giocare a calcio.

Direttore, la Cossatese punta sul divertimento dei ragazzi e sull’aspetto sociale dello sport. Come si stanno sviluppando queste dinamiche in un contesto sempre più in difficoltà?

Il modello sociale che noi proponiamo oggi risente inevitabilmente di tutti i problemi che affliggono il mondo del calcio, e dello sport in generale. Le società sono sempre meno, le ragioni che muovono le persone riguardano esclusivamente la natura economica, quindi raramente se ne trovano disposte a impiegare il proprio tempo. La via da intraprendere, secondo il mio modesto parere, è cercare di mettere da parte il proprio ego e per aiutare il prossimo, che nella maggior parte altro non sono che bambini che hanno un sogno: giocare a calcio.

Questa è visibilmente la piega presa dall’universo sportivo. Andando avanti così, che realtà vivremo tra qualche anno?

«Il rischio che stiamo accarezzando pericolosamente è la chiusura delle attività. Ci sono sempre più società calcistiche che non hanno abbastanza risorse per portare avanti un progetto o semplicemente dare la possibilità ai propri bambini e ragazzi di coltivare una passione.

Non appena smetteranno di esserci i “vecchi gladiatori” le società saranno senza aiuto. Far crescere un settore giovanile, sia esso a scopo puramente sociale o competitivo deve essere un interesse di tutti, ci giochiamo il futuro di generazioni. Ad esempio, per incentivare la socialità attraverso il calcio teniamo aperte le iscrizioni nell’arco dell’intera stagione sportiva. È un importante passo verso il desiderio dei ragazzi di continuare a giocare a calcio.

Squadre in calo e impianti spesso non adatti, dove si colloca la Cossatese rispetto a queste tematiche?

La Cossatese oggi dispone di un impianto, il campo sportivo della Pichetta e disputa alcune partite a Masserano.

È da un po’ di tempo che stiamo cercando la concessione del campo di Lorazzo-Baretto per permettere condizioni migliori, al di fuori della singola partita, alla nostra squadra femminile; l’impressione è che ci voglia molto tempo.

Il nostro settore giovanile conta 150 bambini e bambine, per un totale di 12 squadre; l’obiettivo è collocarci in modo più solido sul territorio senza dover per forza esiliare. Oltre al settore giovanile abbiamo la prima squadra in Terza Categoria ed una formazione di calcio a 5. Anche tra i più grandi la situazione non cambia, basti pensare che nello scorso campionato spesso dovevamo spostarci fino alla Valle d’Aosta per giocare alcune partite. Tutto ciò è causa della diminuzione delle società sportive, che non riescono più ad autofinanziarsi.

Per concludere, da chi ci si deve aspettare un cambio di rotta?

«Per creare i presupposti e tornare a far appassionare persone e bambini dobbiamo lanciare degli input noi addetti ai lavori per primi. Anche dalle persone deve arrivare la giusta spinta, perché è giusto criticare e chiedere, ma prima bisogna far vedere di essere all’altezza della situazione ed avere voce in capitolo. L’impegno deve essere sociale prima di tutto, non dobbiamo essere un paese di “bogia nen”, la partecipazione è fondamentale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA