«Consideriamo Matteotti un esempio raggiungibile»

Alla Fons Vitae l’incontro con lo scrittore Vittorio Zincone, primo atto del comitato M come Matteotti

«Questo è viale Matteotti, vero?» ha chiesto il giornalista e saggista Vittorio Zincone prendendo posto davanti alla Fons Vitae, luogo prescelto giovedì alle 18 per la presentazione del suo libro. «Ecco» ha aggiunto poco dopo «andrebbe tolto dal piedistallo, dalle targhe e dalle statue e bisognerebbe invece considerarlo come un esempio raggiungibile». È una frase che dà il senso dell’iniziativa che sta alla base dell’evento pubblico di giovedì sera, il primo firmato dal comitato “M come Matteotti”. È nato il 10 giugno, il giorno dopo le elezioni. Ha un manifesto che chiunque può sottoscrivere anche attraverso il sito web, aperto a chiunque voglia «contribuire allo sviluppo di un’economia e un progresso umano e sociale che sappiano generare inclusione, sostenendo le parti oppresse e senza rappresentanza della società e agendo con estrema responsabilità rispetto alle tematiche ambientali». O, in poche parole, come ha detto la portavoce Clara Canova, «impegnarsi ed essere presenti nella società».

Il primo passo è stato dedicato alla cultura e alla memoria. Vittorio Zincone ha parlato di quello che pochi sanno di Giacomo Matteotti, a cui ha dedicato il saggio “Matteotti dieci vite”, con Laura Colmegna, davanti a un gruppo di persone in piedi e sedute a mezzo metro da lui, in un ambiente diventato più intimo a causa dell’impianto di amplificazione che si è rifiutato di collaborare, con il sottofondo ingombrante dei bus di passaggio. «Perfino a me, quando scrivevo il libro» ha raccontato «chiedevano se stessi lavorando su Ciro Menotti. E a scuola quello che si insegna su di lui si limita a due dettagli: fece un discorso contro Mussolini e fu ucciso». C’è di più: la storia personale di un puntigliosissimo rompiscatole che alla moglie scriveva lettere per spiegarle come allattare, ma anche di un coraggioso uomo di azione che, quando ci fu il congresso che sancì la scissione dal “suo” partito socialista con la nascita del Pci, era a Ferrara a discutere della liberazione del segretario della camera del lavoro che era stato arrestato. Il coraggio lo portò lontano da casa e in bocca ai carnefici: «Tornò nella sua Rovigo» ha raccontato Zincone «dove fu preso, picchiato e seviziato dai fascisti con l’ordine di non tornare più a casa o avrebbe pagato con la vita. Lo mandarono al confino e gli ritirarono il passaporto. A chi gli diceva di smettere con la politica rispose che il suo posto nel mondo era quello che in quel momento era più pericoloso. Il suo vero messaggio si chiama impegno».

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