Coronavirus, la testimonianza di un infermiere: «In prima linea senza tamponi»

Ha chiesto l'anonimato per raccontare come nelle case di riposo si combatta contro tre nemici: il Covid-19, lo smarrimento degli anziani e la paura

L’epidemia da Covid-19 ha messo a dura prova gli ospedali dove nessuno era preparato ad affrontare un vero e proprio tsunami. In pochi giorni si sono dovuti ricavare nuovi letti nelle terapie intensive e convertire reparti di medicina generale. Ma questo virus, questa zoonosi - la scienza è unanime nel ritenere che il Covid-19 abbia fatto il salto di specie da un animale a un uomo e la più probabile tra le cause è la distruzione degli habitat naturali - è alle case di riposo, alle residenze sanitarie assistenziali, che sta richiedendo il prezzo più alto. È lì che è entrato di soppiatto, silenzioso; ha approfittato del “passaggio” di un volontario, piuttosto che di un operatore che lavora all’interno, di un familiare o di un ospite, quando ancora nessuno poteva immaginare cosa sarebbe poi potuto succedere e la vita tra dentro e fuori quelle strutture, così spesso ben integrate nel contesto sociale delle comunità dove sorgono, era caratterizzata dalla più assoluta permeabilità. Già perché il grado di civiltà di un Paese lo si misura anche in relazione alla capacità di non isolare i più anziani, anzi di coinvolgerli e farli sentire preziosi testimoni del tempo. Ed è lì, all’interno delle case di riposo più o meno grandi, che il virus ha trovato le condizioni favorevoli per scatenarsi in tutta la sua virulenza attaccando persone anziane che, semplicemente per un dato anagrafico, anche se in buona salute, sono più esposte alla malattia, per non parlare poi di quelle più deboli che presentano già una multimorbilità. “Il Biellese” ha raccolto la testimonianza di un infermiere professionale che lavora all’interno di una struttura. È provato fisicamente ed emotivamente perché lo stress è tanto: i turni sono infiniti per sopperire alla carenza di organico e vedere gli ospiti, a cui si è legati da un rapporto che non può essere solo professionale, staccati da ogni relazione con il mondo esterno se non attraverso lo schermo di un tablet o di un telefono, è davvero difficile. Preferisce restare anonimo.

Infermiere in una casa di riposo. Qual è la giornata tipo in questo ultimo mese?
Difficile rispondere... Già prima, quando si era in quella che consideravamo normalità, era difficile delineare una giornata tipo, ora è impossibile. All’inizio l’attenzione è più alta che mai. A un minimo colpo di tosse o starnuto si pensa subito: ecco è un segno sospetto, potrebbe essere Covid-19. Un infermiere sa quando inizia il turno, sa che dedicherà tutte le sue ore a delle persone che hanno bisogno, ma non esiste mai un giorno uguale o simile all’altro. In questo momento meno che mai. Adesso che sto rispondendo alle sue domande ho staccato dal turno poco fa, alle 22, e riattaccherò alle 6 sperando di uscire per le 14... se tutto andrà bene.

Nella struttura in cui lavora si sono verificati casi di contagio?
All’interno della nostra struttura non abbiamo, ad oggi, casi certi di infezione. Abbiamo avuto solo un possibile sospetto che è stato prontamente messo in isolamento alla prima comparsa di un segno (un rialzo febbrile) premonitore. Dopo il periodo di isolamento, una ventina di giorni, è stato reinserito con il resto della comunità della struttura poiché non aveva manifestato altri sintomi ed era in ottime condizioni cliniche.

Siete sotto organico?
Sì, siamo sotto di organico: alcuni colleghi sono a casa in quarantena preventiva anche se in assenza di sintomatologia: dei loro familiari o conoscenti con cui sono venuti in contatto erano risultati positivi al Covid.

Quando vi siete resi conto della gravità dell’emergenza? Come sono cambiati i protocolli di gestione degli ospiti?
Inizialmente nemmeno noi avevamo capito la reale portata del problema. Si pensava fosse solo una grave influenza. Che non fosse così credo che lo abbiamo compreso tutti troppo tardi, dopo il 9 marzo. Quella data è uno spartiacque: tutti abbiamo dovuto renderci conto che il Covid-19 è un problema serio e che riguarda tutto il mondo. Detto questo però, fin dalla prima ordinanza del 23 febbraio, dopo la scoperta dei focolai di Codogno e Vo’ Euganeo, la struttura è stata chiusa all’esterno: a tutti i familiari degli ospiti e ai volontari. Dopo una settimana - erano giorni di messaggi contraddittori anche da parte delle istituzioni, c’era chi diceva che bisognava ripartire e si spargeva ottimismo - erano stati riaperti gli accessi, certo con delle precauzioni: solo programmati, in stanze adibite e non all’interno dei reparti e nel numero di un parente per ospite. Dopo il 9 marzo è stato nuovamente chiuso l’ingresso a tutti con misure più restrittive: no ai parenti, no ai volontari. Stop all’ingesso anche per i medici esterni, per le parrucchiere della struttura, per i manutentori. Dopo il 9 possono entrare dipendenti e direttori (sanitario e amministrativo).

Avete avuto a disposizione da subito i dispositivi di protezione individuale? Ne avete a sufficienza per affrontare l'emergenza? I tamponi ve li hanno fatti?
Dpi ne abbiamo avuti da subito: inizialmente guanti e mascherina chirurgica, successivamente la mascherina è diventata quella con il filtro, da mantenere sempre tutto il turno. Di dpi ne abbiamo abbastanza, anche se non in eccesso. Dalla Protezione civile ci sono anche state donate alcune mascherine per il personale. Tamponi? Cosa sono?

Gli ospiti come stanno vivendo questo isolamento caratterizzato dalla mancanza di contatto con le famiglie?
Per gli ospiti ogni giorno diventa sempre più dura. Già la realtà di una struttura non è facile nonostante tutti gli sforzi che personale e animatori fanno per ricreare un clima e dinamiche il più possibile domestiche. Per quanto una persona possa star bene in una casa di riposo non è mai come casa sua. Ora però è davvero più difficile. Tutti i giorni sono uguali: l’animazione non c’è, il parrucchiere, soprattutto per le signore che amavano tenersi e curarsi i capelli, nemmeno e non ci sono occasioni di uscita. È davvero difficile per loro: la tristezza, la malinconia e l’incertezza si impadroniscono dei loro pensieri spegnendo i loro sorrisi e i loro occhi. Ma è difficile anche per noi che con tutto il personale si cerca di dare il massimo, ancor più di prima. Perché per noi quegli ospiti sono diventate persone di famiglia. È sempre più complicato trovare le parole per spiegare a un ospite magari pluripatologico, magari stanco ma comunque “lucido di testa”, quello che sta succedendo fuori. E diventa quasi impossibile farlo con un ospite che manifesta segni di demenza e di aggressività a cui viene negata la visita di un familiare, forse l’unica cosa che sapeva o poteva tranquillizzarlo. Queste situazioni ci fanno stare male: si vede dai loro occhi che non capiscono, in cuor loro, perché la figlia o il figlio non vengono a trovarlo come facevano sempre fino a poche settimane prima. La tecnologia, è vero, ci aiuta in numerosi casi e sopperisce alla mancanza dei contatti fisici. I familiari ci chiamano e parlano con i loro genitori al telefono, poi ci sono le videochiamate fatte tra l’ospite e il parente a casa, grazie all’aiuto della coordinatrice. Sono piccoli gesti che cambiano l’umore per entrambe le parti.

Ha paura di essere contagiato e trasmettere il virus alla sua famiglia?
Paura di essere contagiato? No. Paura di contagiare? Sì. Anche prima di “conoscere” il Covid-19 noi, come personale sanitario, potevamo essere contagiati da tantissime altre malattie. Ora però c’è la paura di essere contagiati da un virus di cui poco ancora si conosce e di “portare tutto a casa” dove ci sono le persone con cui viviamo e che amiamo. Ho paura? Sì, ho paura di far star male le persone a cui voglio bene.

Avete un supporto psicologico? Come riesce ad allentare lo stress?
No, non abbiamo un supporto psicologico interno. Magari! Non ci fanno i tamponi, figuriamoci uno psicologo per il personale! Lo stress va autogestito. Lo si fa con se stessi e tra colleghi che sono una grandissima risorsa e un aiuto vero, sopratutto in questo momento.

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