Quando si parla di immigrazione l’attenzione è focalizzata su chi sopravvive alla tragedia del viaggio sul barcone. Ma che cosa succede ai corpi delle persone che nel Mediterraneo hanno trovato la morte?Se l’è chiesto Max Hirzel, il fotoreporter biellese che ha pubblicato per le più importanti riviste del mondo. Era il 2011 e si trovava a Bamako, la capitale del Mali. Parlando con un Camerunense in viaggio verso l’Europa ha avuto occasione di ascoltare il suo racconto. «C’era una tomba, in mezzo al deserto. Era di una ragazza di Douala» gli dice il giovane. «Mi chiesi se la sua famiglia sapeva che lei era là».Questa immagine è un seme gettato, che crescerà riflettendo sulla frase di Miriam Orteiza, psicologa della Croce Rossa Internazionale: «Bisogna avere prove per accettare la morte. Per poter elaborare il lutto devono avere un corpo».Con questi presupposti Hirzel inizia un percorso di ricerca per raccontare ciò che accade ai corpi di chi non sopravvive alla tragedia del naufragio. Il fotoreporter biellese intuisce che il recupero dei cadaveri e la loro identificazione possono assumere un nuovo significato: offrono una prospettiva diversa rispetto a un fenomeno che nell’immaginario collettivo è spesso legato a speculazioni politiche e ad analisi compiute dimenticando le storie delle singole persone e le vicende personali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA