Cossato, a cascina Aurora cresce la solidarietà

«Ricordo ancora la prima volta in cui ho messo piede a cascina Aurora dopo che erano arrivati i primi ragazzi. Per un attimo ho avuto paura: erano scurissimi di pelle ed erano tanti. Almeno quaranta, nessuno di loro parlava l’italiano. Ecco: sono trascorsi quasi tre anni» racconta don Marco Vitale, viceparroco della Speranza, di Castellengo e Mottalciata, «e da allora gli ospiti della cascina sono anche cambiati. Ma l’esperienza che ha coinvolto la nostra comunità è stata positiva: un esempio di come sia possibile vivere l’accoglienza arricchendo reciprocamente le proprie vite».

Don Marco e il parroco don Alberto Boschetto fin dai primi tempi in cui a Cossato sono arrivati i richiedenti asilo hanno cercato di coinvolgere i parrocchiani in momenti di scambio, organizzando pranzi, castagnate e iniziative aperte a tutti. Don Marco poi si è fatto aiutare nella coltivazione dell’orto. «Molti  ragazzi si sono dimostrati interessati e hanno cominciato a lavorare insieme a me nella serra e nei campi intorno alla cascina. Sono stati bravi a inserirsi nella comunità, anche grazie alla disponibilità di molte persone che si sono avvicinate a noi per dare una mano. C’è l’esempio di Sandra e Adriano, una coppia che abita vicino alla struttura: hanno fatto amicizia con i ragazzi e spesso ci invitano a pranzo».

Poi ci sono le volontarie che aiutano gli ospiti nell’apprendimento dell’italiano. «Una nostra insegnante tiene le lezioni quotidianamente» spiega Cristiano Giacomini, responsabile del centro di accoglienza «e poi ci sono i corsi di approfondimento insieme alle volontarie. Imparare la lingua per i ragazzi è fondamentale: è il primo strumento di cui devono disporre per provare ad integrarsi. Nel gruppo c’è chi è più aperto e volenteroso, e chi invece tende a chiudersi, anche a causa dei grandi cambiamenti e dei traumi che ha subito». Il periodo medio di attesa per ottenere la protezione umanitaria oppure il diniego è ancora lungo: si tratta di circa un anno e mezzo, dice Cristiano Giacomini. Per questo è importante che gli ospiti vengano coinvolti in attività, quando possibile lavorative. «La paura iniziale di tante persone per fortuna oggi non c’è più» sorride don Marco. «Mi preme parlare dell’esperienza che stiamo vivendo perché il sistema di accoglienza non è perfetto, anzi: ci sono diverse criticità, soprattutto per quanto riguarda ciò che accade dopo il periodo di ospitalità nei centri. Ma dal punto di vista umano per tanti italiani e per molti giovani stranieri questa esperienza è stata un’occasione di crescita interiore e di incontro con l’altro». Conclude don Vitali: «Davanti a tante persone che sono contrarie all’accoglienza dico che qui in cascina abbiamo piantato semi di pace: il nome della struttura, “Aurora”, non è casuale: è una luce che sta sorgendo, che rappresenta un’opportunità per questi ragazzi di cominciare una nuova vita. E per noi di aprire il nostro cuore».

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