Dieci anni fa il naufragio della Concordia. In quella tragedia morì una biellese






Dieci anni fa, il 7 gennaio, migliaia di croceristi ansiosi di vivere le emozioni di una crociera fuori stagione sul Mediterraneo stavano aspettando sul molo del porto di Savona l’arrivo della Costa Concordia. Entro poche ore si sarebbero imbarcati sul quel gigante dei mari: 290 metri di lunghezza, 35 di larghezza, 14 ponti, 1500 cabine, 114 mila tonnellate di stazza. Un gigante in grado di solcare i mari tare fino a 5 mila persone tra passeggeri ed equipaggio. Sul molo ci sono anche molti biellesi. Tra questi c’è la famiglia Roselli di Cavaglià. È una famiglia molto unita quella dei Roselli, di muratori tutti originari della provincia di Bari, emigrati anni fa al nord per lavoro. Quello della Costa era il primo viaggio dopo una vita di fatiche e sacrifici. Un regalo a Martire Roselli e Lucia Perrone, per i 50 anni di matrimonio. Con loro c'erano i due figli, Vincenzo con l'amata moglie Maria D'Introno e Antonio, con la moglie Luciana. C’era solo voglia di divertirsi, di visitare le città meta del viaggio. Nessuno, quel giorno poteva immaginare la tragedia che sarebbe accaduta 6 giorni dopo.
È il 13 gennaio. Ormai la crociera è al termine. La nave ha lasciato il porto di Civitavecchia ed è diretta a Savona. Tanti passeggeri sono in cabina chiudere le valigie. Altri sono ancora al ristorante. Sono le 21,30 quando i passeggeri sentono un colpo terribile. La nave è vicinissima all’isola del Giglio. Alcuni superstiti che hanno la cabina dal lato dell’isola racconte- ranno che si poteva quasi toccare, tanto era vicina.
Su “il Biellese” del 17 gennaio Adriano Bertaglia, un passeggero raccontava al nostro cronista Cesare Maia: «La nave ha iniziato a inclinarsi verso sinistra ma non abbiamo dato troppo peso alla cosa e siamo tornati nelle cabine per finire di preparare i bagagli, pronti per scendere a Savona. Questo ci ha permesso di salvare almeno i documenti, che avevamo già estratto dalla cassaforte. Poi è mancata la corrente e sono entrate in funzione le luci di emergenza. Ma dall’altoparlante arrivavano comunicazioni rassicuranti: “È tutto sotto controllo” diceva il direttore di crociera “abbiamo un problema ai generatori ma i nostri tecnici sono già al lavoro e lo stiamo risolvendo». I croceristi vedono che la nave sta facendo una manovra strana e punta la prua verso il molo dell’isola del Giglio. Poi comincia a inclinarsi sul lato opposto, verso destra. Ma le poche comunicazioni continuano a essere rassicuranti.
Passerà un’ora prima che passeggeri sentano i sette fischi, il segnale che nessuno vorrebbe mai sentire. Significa abbandonare la nave. Di quelle concitare ore si sono riempite di inchiostro pagine e pagine di giornale. Adesso chi volesse approfondire può ascoltare il podcast “Il dito di dio” del giornalista Pablo Trincia pubblicato su Spotify. Quei sette fischi segnano l’inizio della tragedia per la famiglia Roselli. Vincenzo Roselli e la moglie Maria d’Introno non sanno nuotare. «Era tutto un caos ci siamo buttati in mare con il giubbotto salvagente. Così siamo riusciti a raggiungere l’isola. Tutti tranne Maria. E pensare che nuotando la preoccupazione maggiore era per mio padre non solo per l’età, ma a causa di un problema all’anca. È tutto un incubo che sembra destinato a non finire mai. Prima quelli che sulla nave ci dicono di stare tranquilli. Smentiti dalla nave che poi ha cominciato a inclinarsi e a riempirsi d’acqua. E adesso Maria che non si trova: aiutatemi, non posso vivere senza di lei» dichiarava al nostro cronista Riccardo Alberto Vincenzo Roselli il giorno dopo. Il corpo di Maria sarebbe stato ritrovato solo giorni dopo quando sul relitto sarebbero salite squadre specializzate di sub. Maria e il marito erano stati insieme fino al momento di calarsi. La paura del mare però deve essere stata troppo forte. È lì che la mano di Maria lascia quella di Vincenzo. Resterà sulla nave.
Tra i soccorritori dei naufraghi della Concordia ci furono anche due biellesi, Riccardo Dondana e Valerio Pizzoglio, esperti soccorritori speleo, furono chiamati per esplorare il relitto nell’immediatezza del naufragio quando la speranza di trovare di- spersi ancora in vita era tanta. In dieci anni sono stati celebrati i processi. Il comandate Francesco Schettino - celebre all’invito del comandate della capitaneria de Falco a risalire sulla nave dopo che lui si era già calato mettendosi in salvo - è stato condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione. Schettino sta scontando la sua pena a Rebibbia. Per il naufragio, sono stati condannati in patteggiamento, tutti con pene inferiori ai tre anni di carcere, il comandante in seconda Ciro Ambrosio, il terzo ufficiale Silvia Coronica, il timoniere Jacob Rusli Bin, il responsabile sicurezza della Costa Crociere Roberto Ferrarini e l'hotel director Manrico Giampedroni. La vicenda aveva messo in evidenza la pratica molto pericolosa dell’inchino, il passaggio sotto costa nelle vicinanze dei luoghi di residenza dei membri dell’equipaggio.




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