Don Simone: «Dio può aprirci nuove strade»

Intervista al nuovo parroco. Ha 47 anni e un’intensa esperienza in Duomo e al Villaggio: «Vorrei investire tante energie su giovani e sociale»

Mancano pochi giorni e poi l’insediamento di don Simone Rocco nelle parrocchie di Candelo sarà realtà.

L’appuntamento è domenica 22 settembre alle 15 nella chiesa di Santa Maria Maggiore.

L’ingresso sarà celebrato da tutta la comunità che ha atteso il suo arrivo per diversi mesi. Era la fine dello scorso anno, infatti, quando ai fedeli fu comunicata la notizia dell’addio di don Attilio Barbera, figura iconica in paese per oltre vent’anni. Dopo la breve ma intensa guida del vice parroco don Angelo Nardi, che resterà amministratore parrocchiale, è arrivato il momento di don Simone, nominato dalla Diocesi di Biella lo scorso maggio. È lui stesso, che compirà 47 anni il giorno dopo il suo ingresso a Candelo, ad esprimere le proprie emozioni alla vigilia di un appuntamento molto sentito: «Investirò le mie energie sui giovani e il sociale».

Don Simone, ci racconta del suo percorso di fede?

Sono entrato in seminario quando avevo 34 anni, alle spalle ho alcuni anni di lavoro sempre nella stessa azienda, il Lanificio Zignone di Strona, il mio paese di origine. Quindi ho trascorso due anni in Duomo con don Carlo Gariazzo e poi due anni nella parrocchia del Villaggio Lamarmora con don Ezio Saviolo per poi tornare in Duomo da diacono dove ho affiancato il vicario don Paolo Boffa. La mia ordinazione è avvenuta nel settembre del 2018.

Lei è cresciuto in una piccola parrocchia e poi è arrivato in città. Quali sono state le differenze?

Non rinnego nulla di ciò che è stato, le mie esperienze e quello che ho imparato. Ovunque sia stato si è creato un bel legame di amicizia e fraternità.

A Candelo porterò il lavoro che ho fatto con i giovani e l’esperienza della vita comunitaria della casa famiglia. Una dimensione molto bella che ti fa sperimentare la quotidianità con le sue problematiche, le risorse, i lati più o meno belli.

In questi anni, come detto, è stato vicino ai giovani. In qualità di direttore della Pastorale Giovanile ha viaggiato con loro, cosa ha scoperto?

Da Lisbona, con la Giornata Mondiale della Gioventù, ai pellegrinaggi fino ad arrivare ai centri estivi e i campeggi. Sono stati momenti di riflessione e condivisione. Questo per me è vedere una chiesa giovane. Abbiamo ancora numeri piccoli ma sono quei numeri che danno spessore.

E aver visto in questi anni molti di loro che hanno fatto scelte importanti, magari contribuendo ad aiutare gli altri e mettendosi in gioco, significa molto per me. Vuol dire che la parola del Signore può cambiarti la vita e aprirti nuove strade.

Qual è stata la prima reazione quando ha saputo del suo arrivo a Candelo? E conosce la comunità?

Felicità, ovviamente, anche se non mi aspettavo fosse tutto così rapido. Su Candelo ho iniziato in questi mesi ad organizzare degli incontri per conoscere meglio la sua vita pastorale.

Entro in una realtà viva con due parrocchie che già da tanti anni hanno incominciato a lavorare insieme. Don Attilio Barbera mi ha detto che ci sarà tanto da fare ma avrò persone vicine che mi aiuteranno.

Candelo significa San Pietro e San Lorenzo ma non solo. Qual è il suo desiderio?

Vorrei investire tante delle mie energie sui giovani e il sociale che caratterizzano la vita di una parrocchia, oltre alla capacità di rispondere alle richieste della comunità. Si può partire da una struttura molto bella come l’oratorio di San Pietro, rinnovato grazie a don Attilio, cavalcando la vocazione candelese che da vent’anni circa è prettamente turistica. E poi, essendo appassionato di storia, sono certo che Candelo ha ancora qualcosa di dirci dal punto di vista culturale e religioso.

Oltre alla storia ha altre passioni che coltiva?

Quella per il ciclismo. Da ragazzo andavo spesso in bici e ancora oggi, quando posso, guardo le gare in televisione.

Utilizza i social network?

Dico: non ancora. Nel senso che sono convinto dell’utilità dei mezzi tecnologici ma non sono molto pratico. Resta un mondo da esplorare e credo proprio che grazie alle nuove generazioni potremo esplorare anche questo potente mezzo di comunicazione.

Lei fa parte di una giovane generazione di sacerdoti, è possibile collaborare insieme?

Certo. Per Candelo è un discorso “zonale” vista la presenza di realtà importanti di confine. Così come conosco bene don Luca Murdaca, il parroco dell’Assunta di Vigliano, con cui sicuramente faremo un percorso comune. Ritengo sia imprescindibile lavorare insieme e credo che con i giovani sia più facile. Il futuro ci chiama.

A proposito di giovani, c’è chi parla di una loro crisi, non solo di vocazione. Che ne pensa?

L’unica strada è costruire delle relazioni “buone”. Stare insieme può aiutare a guardare il mondo in cui viviamo con occhi diversi perché offre ai giovani la possibilità di essere ascoltati. Porto l’esempio dell’oratorio che è sentito come casa comune e dove ci si sente accolti senza barriere e pre concetti.

Sappiamo che non è semplice, ma bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco per costruire una comunità educante.

Come si definisce?

Una persona laboriosa. Una cosa è certa: sono sicuro di portare a Candelo quelli che sono i miei difetti ma dall’altra parte posso garantire che porterò la voglia di fare.

Sta preparando un discorso per domenica?

Non preparerò nulla. Mi affiderò come sempre al Vangelo.

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