Forno crematorio, il tribunale: «Il Comune fece bene a risolvere la concessione a So.cre.bi.»
La battaglia legale sul tempio crematorio tra So.cre.bi., la società della famiglia Ravetti che lo aveva costruito e poi gestito fino allo scoppiare dello scandalo delle cremazioni multiple, e il Comune di Biella ha un vincitore nel sindaco Claudio Corradino.
Nei giorni scorsi è stata depositata l’ordinanza del Tribunale Civile di Biella che rigetta la richiesta presentata da So.cre.bi. di sospendere la risoluzione della concessione assunta con il relativo provvedimento il 16 marzo del 2020. Il giudice monocratico Andrea Carli condanna So.cre.bi. al pagamento delle spese processuali fissate in 5.535 euro. «Questa sentenza è importante perchè dice che il lavoro fatto fino ad ora dalla mia amministrazione per poter rimettere in funzione la struttura, a beneficio di tutta la comunità, era corretto» dichiara a ”il Biellese” il sindaco Claudio Corradino.
Il primo cittadino si dice convinto che entro fine anno l’impianto possa tornare a funzionare.
In questi giorni si sta definendo la commissione che dovrà giudicare le proposte arrivate - si tratta di nomi autorevoli nel campo e per lo più provenienti da fuori Biella - per arrivare all’assegnazione della gestione entro l’estate. «Riaprire il tempio significa tornare a dare un servizio alla collettività» ricorda Corradino. Ma non solo. Il tempio funzionante si traduce anche in entrate per le casse comunali, entrate quanto mai necessarie per garantire servizi e assistenza. «Mi ricordo le opposizioni quando decidemmo di risolvere il contratto nel marzo del 2020 e quando pochi giorni dopo, non ottenendo, la restituzione delle chiavi forzammo l’ingresso per esercitare l’azione possessoria: ci dicevano che eravamo dei pazzi, che sbagliavamo tutto, che avremmo esposto il Comune al rischio di dover pagare un risarcimento a So.cre.bi.. Ebbene l’ordinanza del Tribunale di Biella, arrivata dopo che So.cre.bi. ha deciso di rinunciare anche al ricorso al Tar, ci ha dato ragione. Del resto le nostre mosse erano state ben ponderate con i legali».
Ad assistere il Comune di Biella in questa battaglia legale che si annunciava dura e disseminata di ostacoli - So.cre.bi. era arrivata a chiedere 8 milioni di euro di danni - sono stati gli avvocati Giorgio Lezzi e Federico Banti dello studio Osborne Clark di Milano.
Ora la partita si gioca sull’indennizzo che il Comune dovrà comunque pagare alla So.cre.bi. per la risoluzione del contratto. Da stime fatte l’ammontare dovrebbe essere di circa un milione e 600 mila euro da cui il Comune conta di sottrarre una quota di non poco conto relativa alle spese legali sostenute anche nel procedimento penale in cui era costituito come parte civile e il risarcimento del danno, anche di immagine, riconosciuto sempre in sede penale. L’azione giudiziaria civile arrivata a conclusione era stata intrapresa da So.cre.bi. nel marzo del 2020 con lo scopo di bloccare il Comune intenzionato a procedere il prima possibile con la messa a bando del servizio.
Nelle motivazioni della sentenza il giudice Andrea Carli richiama più volte l’esito del procedimento penale e cita i verbali di interrogatorio di Alessandro Ravetti, amministratore delegato So.cre.bi., in cui vi sarebbero le ammissioni di colpa in merito alle cremazioni multiple che sarebbero divenute prassi per poter smaltire un numero crescente di feretri e non dover richiedere straordinari ai dipendenti.
Il giudice Carli, nell’ordinanza, ritiene fondati i gravi inadempimenti da parte di So.cre.bi. su cui il Comune si è basato per risolvere il contratto. Ma il giudice va oltre ritenendo questi inadempimenti molto gravi e lesivi anche della pietà dei defunti.
Una ordinanza, quella del Tribunale Civile di Biella che, insieme alla sentenza della Corte penale d’Appello di Torino dello scorso gennaio - con la conferma delle imputazioni ai fratelli Alessandro e Marco Ravetti - dice ancora una volta della bontà del lavoro investigativo della Procura di Biella.
Va ricordato come il caso dello “scandalo” del crematorio emerse nel 2018 a seguito di una denuncia arrivata alla Procura. Da lì seguì un mese di intense e complesse indagini che avrebbero portato a fine ottobre di quello stesso anno a due arresti e al sequestro della struttura. La vicenda fece scalpore anche a livello nazionale. Il procuratore Teresa Angela Camelio parlò di «lugubre catena di montaggio della morte». I feretri portati a cremare a Biella - il tempio era attivo dal 2016 - arrivavano anche dalla Lombardia. Se ne parlò sui giornali nazionali e in città arrivò anche la troupe de “Le Iene”.
Seguì il processo con il patteggiamento di tutti i dipendenti e di alcuni soci di So.cre.bi. e il processo con rito abbreviato per i due amministratori delegati. Processo al quale le uniche parti civili ammesse, assieme al Comune, furono le famiglie dei defunti la cui cremazione doppia era stata provata durante quel mese di indagini. Per tutte le altre, alcune centinaia, nonostante i ripetuti tentativi di costituzione - per circa un centinaio resta in piedi, seppur molto improbabile, la possibilità di ottenere l’apertura di un procedimento bis - resta l’opzione del civile. Per tutti questi l’ordinanza del giudice Carli non può che rappresentare un punto a loro favore. Intanto a maggio è fissata l’udienza per due funzionari del Comune di Biella indagati dalla Procura per omesso controllo, non avrebbero cioè vigilato sulla corretta gestione del tempio da parte di So.cre.bi.. Del tutto inutili si sarebbero così dimostrati i tentativi, fatti negli anni, da parte di So.cre.bi. di rinnovare l’assetto societario dotandosi di un trust e da parte della proprietà di cederne le quote.
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