Il Coronavirus avanza, ma Londra e il Regno Unito stanno a guardare

Gli italiani che vivono nel Regno Unito hanno paura. Paura del virus, innanzitutto (cifre non ufficiali parlano di 10mila contagi), ma soprattutto paura della leggerezza con cui i britannici stanno affrontando l'emergenza Covid-19. La testimonianza di una situazione che, vista dal nostro paese, appare incomprensibile, arriva da un giovane musicista biellese, Simone Geda, 26enne originario di Ponderano che vive nel quartiere di Fulham, borgo di Londra. Simone ha iniziato a suonare nella banda del suo paese a 8 anni e dal 2018 studia saxofono nella prestigiosa Royal College Music, dove tra pochi mesi otterrà un master in performance e direzione d'orchestra. «Il discorso del premier Boris Johnson ha scioccato non solo noi italiani, ma anche i britannici» dice il giovane. Nella conferenza stampa convocata giovedì scorso per parlare dell'emergenza coronavirus, Johnson aveva detto: «Molte famiglie perderanno i loro cari».

Come avete reagito voi italiani e come stanno reagendo i britannici dopo questa dichiarazione?
Siamo tutti molto preoccupati, non tanto per la frase folle del premier, quanto per la linea scelta dal governo, che ha deciso di non fare nulla.

In che senso? Qual'è l'attuale situazione a Londra?
Semplicemente in città non si sta adottando alcuna misura precauzionale. Mentre sul Continente i governi prendono misure sempre più drastiche, qui sembrano ignorare il problema. L'unico consiglio dato dal governo infatti è di usare acqua e sapone per lavarsi le mani. Chi ha sintomi è invitato a restare a casa per una settimana.

La popolazione ha la percezione di ciò che potrebbe accadere nelle prossime settimane?
Purtroppo solo in minima parte, anche se la preoccupazione cresce, come dimostrano le resse ai supermercati. Le scuole però sono aperte, così come attività commerciali, chiese, impianti sportivi e luoghi di aggregazione. La vita in città continua apparentemente come se nulla fosse successo e delle mascherine di protezione non si vede nemmeno l'ombra.

Eppure in un primo momento sembrava che il Regno Unito avesse preso seriamente la questione.
Proprio così. A fine gennaio si diceva che, dopo la Cina, Londra sarebbe stata l'epicentro dell'epidemia. Così sono iniziate le quarantene per i tanti cinesi (molti di loro sono studenti, ndr) che avevano avuto contatti con il paese d'origine. Dopo questa prima fase di allerta però, l'attenzione si è drasticamente abbassata e le indicazioni sono state sommarie. La sensazione è che tutto sia fatto in maniera superficiale: la scorsa settimana ha chiuso la Guilton School, dopo che un professore era risultato positivo al coronavirus. Ma dopo pochi giorni la scuola ha riaperto, senza seguire le indicazioni sanitarie che invece vengono date in Italia in situazioni simili.

Patrick Vallance, una delle due massime autorità sanitarie del governo Johnson ha detto: «Il 60% dei britannici dovrà contrarre il coronavirus, in modo da sviluppare l'immunità di gregge ed evitare una nuova epidemia il prossimo anno». Tradotto, solo i più forti sopravviveranno...Non è preoccupato di restare a Londra?
Sarei bugiardo se dicessi di essere tranquillo. Oggi (sabato per chi legge, ndr) il mercato era pieno di gente e i rischi di contagio quindi altissimi. I tamponi non vengono fatti, se non a persone in condizioni molto critiche. Poche ore dopo il discorso del primo ministro Johnson, si è sparsa la notizia che una rinomata clinica privata avrebbe offerto la possibilità di fare il tampone al costo 400 euro. Il governo non dichiarerà l'emergenza nazionale finché non si raggiungerà il picco di contagio, forse anche per non bloccare l'economia.

Dopo la Brexit e l'uscita dall'Europa, questa superficialità nell'affrontare un'emergenza mondiale non rischia di far perdere appeal al Regno Unito?
Ne sono convinto. Già con la Brexit, Londra è diventata meno appetibile per gli stranieri. Io sono tranquillo, perché ho deciso di vivere qui almeno per i prossimi cinque anni, periodo nel quale godrò degli stessi privilegi degli Inglesi. Ma per chi arriva dall'estero, da gennaio 2021 in poi le difficoltà saranno molte.

Come trascorre le giornate in queste settimane di grande emergenza nel suo paese d'origine?
Stare qui e continuare la vita di tutti i giorni non è facile. A Ponderano vivono i miei genitori con mio fratello più piccolo, mentre il medio studia e lavora da musicista a Firenze. Per ora non ho intenzione di tornare in Italia, non solo per le difficoltà di spostamento, ma anche perché se partissi probabilmente non riuscirei a concludere in tempo il master. Se la scuola dovesse chiudere, valuterò il da farsi. Restare chiuso in un appartamento per settimane non sarebbe semplice.

Per sentirsi più vicino all'Italia, venerdì scorso ha aderito al flash mob sonoro che si è svolto da nord a sul del bel Paese, con una diretta facebook che ha avuto migliaia di visualizzazioni.
Ho organizzato un piccolo concerto con il collega Domenico Gioffrè, direttore musicale nella chiesa di Sant John's a Fulham. Io con il sax, lui all'organo, abbiamo suonato sulle note del "Va pensiero". È stato un modo per sentirci un po' più vicini alle nostre famiglie e agli italiani. Se il governo britannico sembra apparentemente fermo sulle proprie posizioni (chissà ancora per quanto...), i cittadini hanno iniziato a mobilitarsi in massa: è di due giorni fa infatti la notizia di una raccolta firme con oltre 100mila persone che chiedono a gran voce misure più restrittive per evitare la diffusione di massa del coronavirus. Una richiesta che, già domenica, ha smosso Boris Johnson dalle sue posizioni iniziali: il governo infatti si appresterebbe a mettere in quarantena per quattro mesi tutti gli ultra 70enni britannici, tutti in auto isolamento e anche se non hanno alcun sintomo.

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