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Le immagini crude della guerra in Ucraina sfilano sullo schermo della tv. È la telecamera di Ivo Bonato a raccontare gli orrori di un conflitto che non vuole saperne di finire. Il cameraman biellese, che vive ad Andorno, ha trascorso ormai quasi 180 giorni in Ucraina a servizio dei Tg della Rai.
«Un collega, Andrea Luchetta, inviato del Tg1, l’anno scorso mi ha proposto di seguirlo in Ucraina. Abbiamo parlato a lungo e ho deciso di andare. Avevamo lavorato insieme già durante il Covid per gli approfondimenti, ci conosciamo bene ed è una persona di cui mi fido, cosa fondamentale quando si affrontano queste situazioni».
I due giornalisti sono arrivati a Kiev nei primi giorni della guerra, immersi in una realtà che non era più filtrata dal video, e che dai più oggi viene percepita ormai con un po’ di distacco: gli eventi vengono smorzati da abitudine e distrazione quando l’orrore si mischia alla cena e la pena nel cuore sfuma nel calore di casa, dove la sicurezza è data per scontata.
«Ho 58 anni, la guerra non la conoscevo se non attraverso i racconti dei nonni. Storie di conflitti e di fame molto distanti. Nel Donbass invece mi sono trovato davanti alla disperazione, l’ho respirata e toccata con mano. Le persone in coda per un pezzo di pane, mentre piovono le bombe, erano a pochi metri da me, con la loro innaturale rassegnazione diventata normalità, nel freddo totale. Quest’inverno siamo andati a meno 20 e a novembre mi sono persino ammalato, per due giorni sono rimasto chiuso in albergo, nel letto, completamente vestito sotto una montagna di coperte, senza acqua, riscaldamento e luce. Sono situazioni complicate, non puoi decidere di tornare a casa da un momento all’altro, ci vogliono sempre almeno due giorni per arrivare in una zona sicura».
Prosegue Bonato: «Nessuno di noi si aspettava una situazione simile. La precedente generazione degli inviati di guerra risale all’Iraq e all’Afghanistan. Noi abbiamo dovuto affrontare la tragica realtà adattandoci, soprattutto emotivamente, giorno dopo giorno perché alcune cose si possono raccontare, altre le devi tenere solo dentro di te. “Tutto quel-lo che succede in guerra resta in guerra” dicevano i nostri vecchi, ed è vero. È difficile condividere certe situazioni con chi non può neanche immaginarle. Siamo però consapevoli che con il nostro lavoro possiamo raccontare la verità, la storia di un’umanità disumana, anche se quando lavoriamo questi pensieri non hanno posto davanti agli scenari che incontriamo».
Ma gli orrori si accompagnano a situazioni inaspettate. «Quando sono partito per l’Ucraina non mi aspettavo certo di trovare un Paese così bello, un fiume, il Dnipro, così grande e placido. E poi le persone, straordinarie, che cercano in ogni modo di dare dignità alla loro vita, alla città, alle strade che tengono pulite e ordinate dove, malgrado il conflitto, si percepisce il forte senso civico di ogni abitante».
Vivi ma senza certezze. Così scorrono le giornate degli inviati. «Ero a Kiev, con Luchetta, avevamo prenotato il treno per tornare a casa dopo 25 giorni di lavoro. Un’ora prima della partenza scatta l’allarme aereo, piovono tre missili dal cielo, scendiamo subito nel rifugio. Abbiamo lasciato partire il treno, dovevamo raccontare quello che era successo: i morti, il sangue, i feriti che chiedevano aiuto, i crateri enormi nelle strade e la devastazione ovunque. E raccontare anche, il giorno dopo, il lavoro di ricostruzione e l’impegno immediato della popolazione per ripristinare perfino l’asfalto. Gli ucraini cercano di riportare le cose alla normalità, tagliando anche l’erba nelle aiuole se occorre, per cancellare i segni e le ferite della guerra».
Continua: «Avevo più paura forse prima di partire, poi una volta sul posto entri in una dimensione anomala, dopo tre notti che non dormi perché nelle orecchie irrompe il lamento degli allarmi antiaerei, ti arrendi alla stanchezza, abbassi le difese, resti a letto e speri che non ti capiti nulla. Per i soldati al fronte, questa condizione di pericolo è messa nel conto, per noi ovviamente non è così ma in un certo senso si finisce per accettarla».
Bonato vede e racconta attraverso la sua telecamera sfaccettature talvolta quasi incomprensibili, della guerra. «Ogni persona incontrata ha le sue motivazioni per combattere, ognuno ha una visione diversa della libertà e della vita. Ho conosciuto una suora polacca che accompagnava un convoglio di mezzi di soccorso al fronte, un’altra che ha deciso che la sua missione era quella di stare al fianco dei soldati. Ho parlato con militari gay che hanno imbracciato il fucile per difendere i loro diritti, consapevoli che la libertà è fondamentale per tutti».
Ma ci sono anche le storie dei reporter, persone appassionate che sentono il dovere di raccontare e documentare quanto accade lontano dalla quotidianità. Anche in questo caso si tratta di esperienze singolari che vengono condivise e intrecciate nella comunità degli inviati di guerra. «Seguiamo i protocolli di sicurezza, per evitare inutili rischi. Bisogna sempre prevenire e prevedere. Siamo geolocalizzati dalla Farnesina che, in ogni momento, sa dove ci troviamo e può portarci in salvo in caso di emergenza. Abbiamo naturalmente il pass rilasciato dal ministero della Difesa ucraino. Ci muoviamo con i Fixer locali, persone che conoscono il territorio e le esigenze del nostro lavoro. Ogni mattina ci confrontiamo con la nostra redazione centrale, si fa il punto e si decide cosa fare e dove andare per i servizi e le dirette della giornata».
Ivo Bonato in questi giorni si trova a Dnipro con l’inviata del Tg3 Maria Grazia Fiorani, a un centinaio di chilometri da Zaporizhzhia, sede della centrale nucleare più grande d’Europa. Il sito è in mano ai russi ed è fonte di gravi preoccupazioni per l’Aiea Agenzia internazionale per l’energia atomica, che teme problemi di sicurezza. «L’altro giorno siamo stati sulla sponda ucraina del fiume, a Nikopol, dove gli abitanti si stanno preparando ad una eventuale evacuazione».
Il cameraman fa brevi rientri nel Biellese per poi ripartire alla volta di nuove destinazioni fra un viaggio e l’altro in Ucraina. Il suo è diventato un mestiere nel 1992 quando ha iniziato a fare l’operatore per Rai Piemonte. Recentemente è stato in Iran, con l’inviato Lucia Goracci, per raccontare la rivolta del Velo, ha seguito le elezioni in Finlandia, è stato a Parigi durante le proteste contro Macron, ha documentato la spedizione scientifica del Cnr alle Isole Svalbard sopra il Circolo Polare artico.
«Quando rientro a Biella, ora riesco a staccare completamente. È bello rivedere la famiglia, gli amici, il giardino di casa. Ultimamente ho incontrato Beppe Anderi e Maurizio Pellegrini, ricordando con molto piacere gli albori della Videoastolfosullaluna, un’esperienza felice che ci unisce ancora. Anche loro stanno facendo un percorso importante e belle cose».
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