Paolo Borsellino: l’intenso ricordo dei giovani biellesi

L’importanza della memoria: a 32 anni dalla strage compiuta da Cosa Nostra, la voce degli studenti contro la mafia

19 luglio 1992. Il magistrato Paolo Borsellino, insieme a cinque agenti della sua scorta, perde la vita in un attentato ordito da “Cosa Nostra”.

Solo pochi giorni fa, a Caltanissetta, si è tenuta la prima udienza del processo a carico di quattro agenti, accusati di depistaggio nelle indagini che avevano lo scopo di individuare i colpevoli. Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino hanno citato la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Interno come responsabili civili.

Ha senso, a 32 anni di distanza, ricostruire un mosaico le cui tessere rischiano di confondersi, se non di andare perdute? Ha senso ricordare?

Lo abbiamo chiesto a una dozzina di giovani, di età compresa tra i 13 e i 27 anni. Ciascuno con percorsi di studio ed esperienze di vita diversi.

Sorprendenti le risposte. Non solo tutti hanno mostrato di conoscere la battaglia del magistrato che, a fianco di Giovanni Falcone, sconfisse la mafia siciliana, portando al maxiprocesso quasi 500 imputati. Hanno tutti ribadito la necessità di non abbassare la guardia.

«Fondamentale ricordare, specialmente ora che sono finite le stragi violente come quella di Capaci e di via D’Amelio e la mafia rischia di diventare un fenomeno sempre più latente e normalizzato» è il parere di Elisa Gremmo, 26 anni, laureata in Filosofia.

«Oggi viviamo in un’epoca in cui disinformazione e ignoranza fanno da padrone» le fa eco Naike Detratti, 27 anni, impiegata nel settore commerciale. «Non dobbiamo correre il rischio di dimenticare».

Per questo esiste l’associazione NoMafieBiella: per stimolare il ricordo. Non si contano i progetti che, con studenti di età diverse, svolge sul territorio biellese.

Lo confermano le parole di Leonardo Bocchino ed Emanuele Paganin, 14 anni, appena diplomati alla scuola media. Dopo aver ricordato il percorso svolto a scuola proprio con l’associazione, aggiungono: «Non tutti hanno genitori che affrontano questi argomenti con i loro figli. Ecco che reiterare il ricordo diventa essenziale».

Alla domanda «Quale messaggio ci viene da Paolo Borsellino e dalla sua esperienza di vita?» le risposte declinano sensibilità diverse.

Innanzitutto «non arrendersi e non restare in silenzio di fronte alle grandi ingiustizie», come afferma Francesca Zombolo, 21 anni, laurea triennale in Biotecnologie. E Alessio Ansermino, 21 anni, diplomato ITS, aggiunge: «Se crediamo nei nostri ideali, dobbiamo lottare in tutto e per tutto per affermarli».

«Combattendo il male senza lasciarsi corrompere e dimostrando di avere coraggio» fa eco Victoria Micu, 15 anni, studentessa del Liceo delle Scienze Applicate.

Carola Pozzallo, 20 anni, studentessa universitaria nel ramo del servizio sociale, pone l’accento su un altro aspetto: «Borsellino ci insegna l’importanza di lottare per una società più giusta e libera dalla corruzione e dalla violenza mafiosa».

E Matteo Defilippi, 19 anni, appena diplomato all’ITIS Q. Sella, aggiunge: «Il sacrificio personale di questi due magistrati, divenuti emblema della lotta alla mafia, ci mostra come ciascuno possa contribuire al bene comune, anche a costo della vita».

Un testimone da passare ai giovani, insomma, come sottolinea Sofia Dari, 15 anni, studentessa all’IIS Bona: «Loro ci insegnano a lottare per i nostri sogni, sensibilizzando le nuove generazioni affinché non ripetano gli stessi errori».

«I bambini e i ragazzi come noi hanno bisogno di esempi di persone corrette e devote alla giustizia» afferma senza esitazioni Viola Ansermino, 23 anni, laureata in Scienze Motorie. Senza dimenticare quegli altri bambini e ragazzi, i figli dei mafiosi.

«Il punto cardine del pensiero di Borsellino, ovvero la divulgazione della conoscenza approfondita della mafia ai giovani, è di fondamentale importanza per cercare di salvare le generazioni future» conclude Gaia Cendron, 23 anni, prossima alla laurea magistrale in Biologia molecolare. «Troppo spesso i figli dei mafiosi diventano mafiosi solo per non deludere la famiglia o per non essere bersagli della mafia essi stessi. Questa catena deve essere interrotta. Ad iniziare da ciascuno di noi». 

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