Sul numero scorso vi abbiamo raccontato di come un biellese su due sul posto di lavoro sia stressato. Almeno stando ai dati di una ricerca, estesa a livello nazionale, voluta dal Research Institute. Un’altra indagine, pubblicata in rete sempre in questi giorni, ci rivela, invece, di come un dipendente su due, non in ufficio ma in smart working, si senta solo. Sarebbe interessante capire se vi sia una percentuale di stressati in ufficio capace allo stesso tempo di sentirsi sola in salotto davanti ad un pc. Correlazioni si dovrebbero chiamare: buone per statistici e psicologi. Nell’attesa, in totale relax, ciò su cui soffermarsi sono i commenti sui social, dopo la nostra pubblicazione, che hanno finito per evidenziare un’altra condizione capace di affliggere ben più del cinquanta per cento del campione, almeno di quello che frequenta le moderne piazze digitali: l’insoddisfazione. Con stress e solitudine che sono solo conseguenza. Diventando parenti stretti di quell’insoddisfazione senza dubbio figlia di una frustrazione celata o malcelata che ci portiamo dentro e poi appresso come una zavorra pesante, capace di farci perdere di vista la realtà e i reali problemi della nostra condizione. Perché in fondo anche dirsi stressati sul lavoro o soli a casa significa esprimere un’insoddisfazione, che al netto di casi particolari, è frutto di un approccio di cui noi stessi finiamo, senza accorgercene, per essere responsabili. Perché per non finire stressati dall’insoddisfazione, forse almeno in ufficio, basterebbe porsi secondo le basi della corretta convivenza, partendo da quei fondamentali concetti che stanno intrinsecamente dentro al rispetto e all’educazione, alla pazienza e alla tolleranza. Sarà per questo che a volte scappiamo nello smart working, con buona pace di una solitudine nella quale a farci compagnia finisce comunque per restare l’insoddisfazione.
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