Sabato l'apertura della mostra "Carlo Pasini - Jungle Patterns" al Macist

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È a cura di Mark Bertazzoli la mostra "Carlo Pasini - Jungle Patterns" presso il Macist di Biella (18 febbraio 2023 - 30 aprile 2023; sabato e domenica 15,00 - 19,15) in via Costa di Riva. Il vernissage è previsto sabato 18 febbraio alle ore 17.00.
In occasione dell’inaugurazione della mostra personale l’artista donerà un’opera alla Fondazione Edo ed Elvo Tempia Valenta per la lotta contro i tumori, che entrerà così a far parte della collezione museale. L'accesso libero e gratuito.
Carlo Pasini giunge al Macist con le sue spettacolari e intense opere puntiformi. Jungle Patterns ci trasporterà all’interno di un universo esotico, ammaliante e multisensoriale. In esposizione sculture di animali fantastici rivestiti da migliaia di puntine, dipinti sospesi tra astratto e figurativo, installazioni concettuali e mosaici ispirati alle molteplici sfumature della natura.

Carlo Pasini è un artista intuitivo e poliedrico: partendo dalla pittura - dopo molte ricerche - è pervenuto a un linguaggio estremamente personale, che genera ogni volta meraviglia e coinvolge, su più piani, il fruitore. Entrando a contatto con le sue sculture di animali non si può fare a meno di immergersi in un mondo fantastico e selvaggio: scontri feroci di coccodrilli e antilopi tra le erbe della savana, aggrovigliamenti di serpenti nelle profondità di foreste tropicali, grandi felini danzanti ritratti in eleganti pose dinamiche. Testi di zoologia, bestiari medievali, fiere mitologiche, il rinoceronte di Dürer, scene esotiche che rievocano i quadri di Henri Rousseau e Antonio Ligabue, frammenti di Art Nouveau, “Le Carnaval des Animaux” di Spoerri, lo zoo in formaldeide di Damien Hirst, sculture polimateriche e molto altro: tutto riaffiora e confluisce sotto la spinta di pensieri ingegnosi e di un lavoro attento e minuzioso. Il bestiario di Pasini (definito da Valerio Deho “Animalìe”) costituisce sicuramente un «momento unico» all’interno della produzione contemporanea italiana.
Dopo cinque anni di formazione presso la scuola di Aldo Mondino, dove matura una filosofia orientata maggiormente al vissuto e alla sperimentazione, Pasini dipinge i primi paesaggi pittorici, realizzati su zanzariere di alluminio funzionanti. Sono - queste - opere evanescenti e cangianti, che giocano in modo originale sull’alternanza tra pieni e vuoti. In seguito a questa fase iniziale, vicina per certi versi all’«expanded painting», l’artista - desideroso di imprimere una svolta decisiva al suo percorso - realizza le Pelli di serpente, creazioni astratte contraddistinte da un tripudio di sfumature, screziature e nuances che ci riportano alla mente i cromatofori del derma dei rettili. Le Pelli, sovrapposizione di molteplici elementi, vengono “costruite” da Pasini mediante una tecnica non canonica. Si tratta, infatti, di un meticoloso processo di accumulazione di puntine da disegno dalla testa in plastica colorate, inserite e incollate su una superficie dipinta.
Questo procedimento di creazione, che eleva un semplice prodotto industriale in serie a un altro tipo di oggetto, viene presto esteso da Pasini anche a ritratti di icone della cultura contemporanea e a grandi sculture di animali. Siamo così di fronte a un linguaggio artistico inedito e particolarmente innovativo; ciò per almeno due motivazioni.
Innanzi tutto perché si tratta di realizzazioni, soprattutto nella loro forma tridimensionale, che intendono provocare delle percezioni più vivide e quindi, sostanzialmente, avvicinare il più possibile il fruitore - e magari anche nuove fasce di pubblico - all’opera d’arte. Le sculture di Pasini costituiscono, infatti, delle opere che ampliano fortemente la sfera sensoriale, tramutandosi da rappresentazioni prettamente visive a «pitture tattili», da toccare e sfiorare, quasi come un codice braille. Seguendo la “lezione” di Pinuccio Sciola, anche l’udito viene coinvolto, in quanto l’insieme di puntine può produrre, accarezzandole, singolari sonorità e vibrazioni.
In secondo luogo poiché il processo realizzativo dell’artista è vitale: si tratta di un movimento ripetitivo inconscio, quasi un martellamento, che porta a complesse opere puntiformi. L’accostamento del colore acrilico di fondo con le ristrette tonalità delle puntine genera effetti chiaroscurali pregevoli, che riproducono - in qualche modo - il gesto pittorico, la “pennellata”. La direzione intrapresa da Pasini, dunque, riporta piena centralità all’azione dell’artista, che deve saper coniugare idee e concetti stimolanti alla manualità, alla “magia del fare”, ai tempi lunghi del lavoro di esecuzione, dalla progettazione al risultato compositivo finale.
Le sculture di Pasini, che si compongono di bullette, spilli, fino a pezzetti di vetro e marmo, presentano un senso delle distribuzioni costantemente armonico. L’artista, infatti, - lasciando inconsapevolmente emergere la propria formazione da architetto -, mette ordine d’istinto e sviscera la composizione per ottenere la miglior rifinitura dei dettagli. Le puntine da disegno raccontano così delle «continue sospensioni di tempo e di spazio» e le opere costituiscono delle sintesi spontanee ripetitive unite a un'appassionata attenzione per il particolare.
Il percorso espositivo si apre con L’uomo sogna di volare (2010), opera emblema di Jungle Patterns, in cui è rappresentata una chimera: una sorta di pantera blu dotata di ali di fagiano. Se da un lato, inizialmente, colpisce l’atteggiamento combattivo del felino, fotografato in un ringhio minaccioso, dall’altro si resta poi quasi incantati dal manto energico e variopinto che riveste il corpo sinuoso dell’animale. Il tema del volo ci ricorda immediatamente il mito di Icaro e ci suggerisce, probabilmente, una premonizione dell’artista sul processo evolutivo futuro degli esseri viventi, animali e uomini.
Un’altra scultura ragguardevole è senza dubbio l’imponente e enigmatica Arca di Noè, realizzata nel 2011. Una larga cassa in legno con la quale vengono trasportati in Europa tanti trofei di animali selvatici. Ai margini compaiono zampe, arti e zoccoli adornati da tatuaggi classici - come sirene e teschi - e tattoo tribali: forse un omaggio alla pelle di esseri viventi alteri e astuti, costantemente in lotta per la sopravvivenza. L’opera, di per sé, presenta anche tracce di ambiguità: gli animali sono stati compressi brutalmente all’interno della cassa oppure stanno spingendo con forza per erompere dalla stessa?
La mostra prosegue con No problem e Occhi dolci ma non troppo, del 2008. Appartenenti alla serie Serial Killer, queste vivaci tecniche miste su tavole di legno costituiscono due opere astratto-figurative che intendono farci intravedere alcuni lineamenti di assassini, presi direttamente dalle pagine di cronaca nera del novecento. Le puntine da disegno, affastellate ordinatamente, sono inframmezzate da colate oblique di pittura: il risultato d’insieme crea un tessuto che - a sprazzi - rivela, ma, - allo stesso tempo - occulta i personaggi rappresentati. Il serial killer potrebbe essere, fino a prova contraria, chiunque.
Jungle Patterns si conclude con Vipera gabonica, serpente letale in cui emerge tutta la versatile maestria dell’artista, e Farfalle, lavori sagaci che sembrano celebrare le Accumulations di Arman.

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