Stamattina il ricordo di don Cabrio. Foto
In tanti alla commemorazione. Presente il ministro Pichetto, il vescovo Farinella, i sindaci della Valle Elvo e tanta gente comune
Torrazzo ha ricordato don Francesco Cabrio, il sacerdote ucciso il 15 novembre del 1944 da un ufficiale fascista. Don Cabrio (nato a Salussola nel 1913), prima di venire assassinato, stava cercando di proteggere proprio i suoi parrocchiani.
Questa mattina, a 80 anni da quel tremendo fatto, sentita e nutrita partecipazione per la cerimonia di commemorazione. Al cippo funerario si sono susseguiti gli interventi del presidente provinciale dell’Anpi Gianni Chiorino e il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto. Poi la celebrazione della messa nella chiesa parrocchiale presieduta dal vescovo Roberto Farinella. Presenti praticamente tutti i sindaci dei paesi della Valle Elvo, a cominciare da quello di Torrazzo Luigi Graziano. Alla commemorazione anche il consigliere regionale Elena Rocchi.
Per il nostro giornale, invece, un ricordo del parroco arriva dalle intense parole del Vicario generale don Paolo Boffa Sandalina.
“Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco … si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore… Io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”; siate pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini…”. (papa Francesco, 28 marzo 2013).
Don Cabrio è andato, è uscito, alla ricerca dei suoi figli.
Don Cabrio non è uscito come eroe ma come colui che porta l’unzione di Dio, la sua consolazione, non è partito in nome suo ma ha raggiunto Torrazzo giovane prete in tempi bui e, dopo trentasette giorni, quel drammatico 15 novembre 1944, è andato incontro alla sua Pasqua.
Don Cabrio non era di una parte (o dell’altra) ma viveva l’ansia pastorale per il popolo che da pochissimo gli era stato affidato. Scriveva don Ferraris, il 26 aprile 1946 su Il Biellese: “Chi legge i succinti memoriali o resoconti che i sacerdoti biellesi, con una certa ritrosia, hanno composto dietro invito, onde fermare sulla carta il loro documentato atteggiamento durante i mesi della guerra partigiana, si accorge di essere davanti a una dimostrazione pratica di quella carità che il Vangelo raccomanda quale caratteristica essenziale dei cristiani.
Opera politica? No. Non avrebbero dimenticato che le brigate garibaldine erano guidate da uomini ispirati agli ideali comunisti.
Opera interessata? Non pare se si pensa alle case parrocchiali saccheggiate, agli oratori di campagna devastati, al prezzo che di persona molti pagarono, con l’esilio, il carcere, la morte.
Quale opera dunque? Ci pare di poter dire: l’opera del buon pastore travagliato da un intimo tormento”.
A Torrazzo, dai boschi verso Zubiena, si sente il crepitio di armi, don Cabrio corre con l’Estrema Unzione, a nulla servono gli avvertimenti di chi lo dissuadeva a non muoversi da casa: ci possono essere feriti da assistere e sicuramente tentare di liberare alcuni torrazzesi prigionieri dei nazifascisti. E dopo un breve inconcludente dialogo con il comandante della Compagnia (battaglione Monterosa, divisione Littorio), le parole di disprezzo, si volta deluso per tornare sui suoi passi ed ecco, a tradimento, una sventagliata di proiettili. Muore dissanguato. La sua deposizione ha il sapore del dramma del Calvario, nella morte di don Cabrio riviviamo la morte di Gesù che dona la propria vita circondato dalla bestemmia, dal disprezzo, dall’insulto.
È ancora don Ferraris a evocare la scena con il suo stile nobile ed essenziale: “La notizia che il parroco era stato colpito fu portata in paese da Ines Zanetto che lo seppe dal tenente medico di quella formazione repubblicana in cammino per Zubiena. Gli uomini erano tutti nascosti per paura del rastrellamento. Varie donne discesero volenterosamente sul luogo della sciagura. Cercarono una scala a pioli, ivi deposero il corpo del loro Parroco e lentamente, nella prima nebbia del tristissimo tramonto, risalirono i due chilometri per raggiungere il paese”. (Sacerdoti biellesi nella bufera, p. 44).
Cosa rimane per noi, oggi, della testimonianza di don Cabrio?
Lasciamo ancora la parola a don Ferraris: “Don Cabrio è infinitamente più bello nella nostra memoria se lasciato nella sua umile semplicità di pastore. È prete e basta, è parroco e basta. La sua estrema semplicità che lo rendeva così “piccolo” secondo il Vangelo; la sua generosità spontanea che lo rendeva così coraggioso nel suo umile compito di parroco, si sono incontrate con la morte, sul campo del dovere quotidiano, ove è caduto a nome di tutti. Più che di una glorificazione ha bisogno di una meditazione, più che non ripensarlo, con una medaglia sul petto preferiamo riunirci a lui ancora mentre nella tasca della nera sottana crivellata dalla mitraglia porta il breviario e la piccola stola insanguinata; queste sono le decorazioni che gli ha concesso il Signore e mi pare possa bastare così”. (Il Biellese, 10 novembre 1970)
In Seminario è reperibile l’ultimo numero de “Il Servo di Dio don Oreste Fontanella” che, grazie a don Bessone, ricorda il martirio di don Francesco Cabrio. Una lettura per non dimenticare.
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