Addio alla “Maria del Coda”

Si è spenta a 103 anni Maria Reggio, “madrina” del rifugio Coda che ha visto nascere, zia, lei stessa valente alpinista, di Enrico Rosso

Il mondo dell’alpinismo biellese si stringe in queste a Enrico Rosso, alpinista con all’attivo importante prime sia nelle montagne dell’Himalaya che del Sud America, e alla sua famiglia. A 103 anni è mancata la zia di Enrico, Maria Reggio. Per tutti conosciuta come la “Maria del Coda”. Se Enrico è diventato l’alpinista conosciuto e affermato lo si deve alla passione che gli ha trasmesso la zia.

Chi scrive ricorda una bellissima serata, due anni fa, organizzata insieme da Montagna Amica e CAI Biella per celebrare l’alpinismo al femminile. E Maria, che allora aveva 101 anni, era stata capace di tenere alta l’attenzione della platea, con i suoi racconti, per due ore.

La corona e i funerali

Questa sera, venerdì 30 agosto,, alle 19, a Pollone, nella chiesa parrocchiale, sarà recitato il Rosario. Domani, sabato 31 agosto, alle 15, nella stessa chiesa saranno celebrate le esequie.

Il suo nome legato per sempre al rifugio Coda

Maria sarà sempre viva nel ricordo di chi l’ha conosciuta e ora ha potuto ritrovare il suo Delfo di cui era stata baglia. Originaria della Liguria dove risiedeva la famiglia pollonese dei Coda era entrata a loro servizio come balia del figlio Delfo. Aveva seguito la famiglia a Pollone negli anni della guerra. Delfo, ancora studente, era poi entrato a far parte delle formazioni partigiane ma pochi giorni dopo la sua adesione, catturato dai nazifascisti, veniva trucidato. Il padre di Delfo, Agostino, finita la guerra, volle costruire un rifugio per onorarne la memoria. Maria seguì i lavori di costruzione restando in quota e offrendo assistenza agli operai. Da allora fu indissolubile il suo legame al rifugio.

L’intervista fatta per festeggiare i suoi 100 anni

Pubblichiamo qui l’intervista che “il Biellese” le fece in occasione del suo centesimo compleanno.

«Adesso che non ci si può nemmeno abbracciare, beh, questi 100 anni non avrei neanche voluto compierli...» esordisce scherzando, al telefono, Maria Reggio. Per tutti gli appassionati di montagna lei è la Maria del Coda. Già... il suo nome infatti è indissolubilmente legato a quel rifugio che emerge dalla cresta dei Carisey, sotto al Mars, a cavallo tra la Valle Elvo e la Valle del Lys. Un secolo, il suo, attraversato con il passo fermo, sicuro e sereno dell’alpinista, sempre con il buon umore nonostante avversità e difficoltà. Il compleanno è stato mercoledì, il 17 marzo. «Gli abbracci sono stati sostituiti da tantissime espressioni di affetto. Il telefono non smetteva di squillare» racconta. E alla porta tanti sono stati corrieri a recapitarle piccoli ma significativi presenti, come quelli delle associazioni di montagna di cui è fieramente socia: Montagna Amica e la sezione di Biella del Club Alpino. «Alla fine tutti mi hanno festeggiato lo stesso ma la vera festa la faremo quando questa pandemia sarà superata e potremmo vederci e brindare insieme». Per Maria, sin da bambina abituata a scalare — lei nata in Liguria non le pareti delle Alpi, ma gli scogli del mar Ligure da cui amava tuffarsi nel profondo blu — questi 100 anni sono stati come il raggiungimento dell’ennesima cima. «Ma quando si raggiunge una vetta sa cosa succede nella testa dello scalatore?» ci domanda. «Succede che si pensa già subito alla prossima meta, al prossimo obiettivo». Maria qualche passeggiata la fa ancora ma di camminate, quelle serie, è da un po’ che non se la sente. «L’ultima volta che sono andata al rifugio Coda, a piedi, è quando avevo 94 anni. Non mi sono mai risparmiata e qualche acciacco inizio a sentirlo. Del resto con la caduta che avevo fatto scalando il Monviso...». Maria era arrivata a Pollone a seguito della famiglia Coda dopo essere stata presa come baglia asciutta per la figlia più piccola, Milly. Il capofamiglia Agostino, ingegnere biellese, lavorava in Liguria. Nel 1944 toccò a lei il riconoscimento del corpo del giovane Delfo, fratello di Milly, trucidato dai nazifascisti. Poche settimane prima, ancora studente, si era unito ai partigiani. Subito dopo la fine della guerra la famiglia Coda volle far erigere un rifugio in ricordo di Delfo. Il luogo venne scelto poco distante da dove padre e figlio si accomiatano nel settembre del ‘44. Maria seguì la costruzione del rifugio preparando i generi di conforto per gli operai ed i volontari che in poco tempo tirarono su quelle pareti divenute uno dei luoghi più cari a chi frequenta la montagna. Nito Staich, Guido Machetto, Beppe Re, Giovanni Antoniotti... tutti hanno arrampicato con lei. «Pochi giorni fa sono salita in soffitta e ho trovato i vecchi sci d’alpinismo. Ho provato a sollevarli: pesantissimi. Adesso i materiali pesano come una piuma. Eppure nulla ci impediva di fare quello che abbiamo fatto: ricordo una traversata scialpinistica di 10 giorni. In compagnia ero l’unica donna. Dicevano che le donne erano noiose. Evidentemente io non dovevo esserlo» si schernisce. L’alpinismo è una passione che poi Maria ha trasmesso al nipote Enrico Rosso, epigono della scuola biellese che affonda la sua tradizione negli esponenti delle famiglie Sella e Piacenza, passa da Ugo Angelino per arrivare a Guido Machetto, battistrada di quella rivoluzione che negli anni ‘70 avrebbe portato allo “stile alpino” nell’alpinismo extraeuropeo. Lo scorso anno Enrico è stato giurato, per la seconda volta, al Piolet d’Or, massimo riconoscimento alpinistico. «Ricordo. Eravamo a Bielmonte. Enrico era con i suoi amici. Li invito a vedere una proiezione di sci alpinismo. Enrico resta colpito da quelle immagini e mi dice che avrebbe voluto essere alpinista. Gli dissi che avrebbe dovuto iscriversi alle scuole. E così è stato. Quando nel 1986 partì per la spedizione allo Shivling (Himalaya), ero molto preoccupata. Temevo per lui e per i suoi compagni. Erano giovanissimi. Mia sorella mi diceva: stai tranquilla. Non sono preoccupata così io, che sono sua madre... Ma se gli fosse successo qualcosa mi sarei sentita io responsabile, ero stata io ad incoraggiarlo».

E se vogliamo dare una colonna sonora a questa vita così ricca e intensa? Non può che essere “La montanara” intonata dal Coro Genzianella, quel coro nato dall’idea dell’amico alpinista Nito Staich. «Là su sui monti, dai rivi d’argento, una capanna cosparsa di fior. Era la piccola dolce dimora di Soreghina la figlia del Sol». Quella capanna, ci piace immaginarla, come il rifugio di Maria, il rifugio Coda.

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