Muore dopo il trapianto. Aperto un fascicolo

Si ipotizza il reato di omicidio colposo. Al momento non ci sono indagati. La vittima è Massimo Mola, 38 anni, operato a Novara

Massimo Mola, 58 anni, noto consulente finanziario di Biella, è morto a gennaio dopo il trapianto di rene avvenuto al Centro Trapianti dell’ospedale Maggiore di Novara. La sorella e la compagna, poco dopo la tragica scomparsa del loro congiunto hanno presentato un esposto in Procura a Biella. Per competenza territoriale l’esposto è stato trasmesso alla Procura di Novara che ora indaga per omicidio colposo. Al momento non vi sarebbe alcun iscritto nel registro degli indagati e si procederebbe contro ignoti. I familiari di Massimo Mola sono rappresentati dall’avvocato Giacomo Marini del foro di Roma che a “il Biellese” dichiara: «Oltre al penale siamo pronti a far valere le nostre ragioni anche in sede civile. I miei assistiti avevano già provveduto alla nomina di un medico legale di parte per assistere all’autopsia e a giorni nomineremo un altro consulente». E proprio dall’autopsia, secondo il consulente della famiglia Mola, sarebbe emersa la vera causa del decesso: una polmonite bilaterale acuta. Nonostante siano passati diversi mesi dalla morte di Massimo il dolore nella sorella Alessandra e della mamma Fernanda non diminuisce. «Mio fratello è morto dopo settimane di sofferenze. I sanitari non sapevano spiegarci cosa stesse accadendo. Il trapianto era andato bene e il decorso sembrava regolare. Stava per essere dimesso e tornare a casa quando tutto è precipitato», racconta la sorella che non riesce a trattenere le lacrime. «Massimo era già stato trapiantato dieci anni fa, ma l’intervento non era andato bene e dopo un anno fu costretto a un nuovo intervento per l’asportazione del rene e a sottoporsi nuovamente a dialisi. Poi la notizia di un rene disponibile aveva riacceso in lui la speranza di poter tornare a una vita “normale”. Il suo sogno era di tornare a nuotare, di portare a nuotare mia figlia che allo zio era legatissima, di andare al mare con la compagna. Aveva voluto che il trapianto fosse fatto dall’equipe di Novara dove era già stato operato dieci anni prima. Avevamo fiducia che tutto andasse per il meglio. L’equipe conosceva la sua storia clinica, anche per questo avevamo grande fiducia e conoscevano bene sia me che mia madre che ci eravamo candidate come donatrici. Prima del ricovero, lo scorso novembre, mio fratello era raggiante, sarebbe tornato a vivere». E in effetti l’intervento era andato al meglio. «Avendo già subito un trapianto che non era andato a buon fine, per evitare ancora complicazioni, i livelli di immunodepressione erano stati alzati e per evitare che potesse avere problemi di infezioni i sanitari avevano deciso che per tutto il post trapianto mio fratello fosse in degenza in terapia intensiva», spiega ancora Alessandra Mola. «Quando ormai si parlava delle sue imminenti dimissioni però venne trasferito in reparto di degenza ordinaria perché il suo posto in terapia intensiva doveva essere occupato da un altro paziente (sono pochi i letti in terapia intensiva, ndr.)». Nei giorni successivi probabilmente Massimo Mola contrae l’infezione che gli sarà fatale. «Andrà incontro a setticemia. Inizia a dimagrire, a star male. Gli faranno mille esami, proveranno a cambiare terapie, prima un antibiotico, poi un altro. Intanto Massimo dimagrisce a vista d’occhio ed è sempre più “assente”. Ci dicono che forse è depresso e lo sottopongono a un consulto psichiatrico. Intanto, noi sempre più preoccupati, vorremmo sottoporlo a consulti con medici esterni ma ne veniamo ostacolati. La situazione nei giorni di fine anno e nei primi giorni di gennaio precipita. Mio fratello va incontro ad attacchi cardiaci. Non respira più e gli devono applicare il casco per la ventilazione forzata. Gli ultimi giorni sono un calvario per lui e per noi. Morirà in Rianimazione il 12 gennaio». La sorella ancora aggiunge: «Vogliamo sapere la verità, vogliamo giustizia per Massimo. Era un punto di riferimento per la nostra famiglia, per me, per i miei due figli Stefano ed Erika che in lui vedevano quasi un padre, e per la mamma Fernanda. Il dolore per lei è ancora straziante, solo otto mesi prima era morto nostro papà, suo marito». L’avvocato Marini dichiara: «È un caso di una gravità assoluta. Nutriamo fiducia nella giustizia. Per la delicatezza di questa fase non posso però aggiungere ulteriori particolari».

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