Tragedia in carcere dopo che gli negano i colloqui con la famiglia e gli tolgono la potestà genitoriale

Un uomo di 46 anni, che avrebbe avuto solo più due anni da scontare, si è tolto la vita

Tragedia nel carcere di Biella. Un detenuto, un uomo di 46 anni, origini romene, marito e padre, si è tolto la vita impiccandosi alla finestra della sua cella. Il suo corpo è stato rinvenuto attorno all’una durante un ordinario passaggio di controllo da parte del personale di polizia di sorveglianza.

Poche ore prima aveva ricevuto comunicazione chi gli era stato negato l’avvicinamento alla famiglia, in Lombardia, e quindi gli venivano negati i colloqui con i familiari. Di più, gli veniva tolta la potestà genitoriale.

È l’ennesima tragedia che colpisce le carceri italiane. A Biella l’ultimo suicidio in via Dei Tigli risale allo scorso anno. Le associazioni del Tavolo del Carcere per il prossimo sabato organizzeranno un presidio in via Italia. La garante dei diritti delle persone private della libertà personale Sonia Caronni dichiara: «Nelle carceri sono troppo poche le figure qualificate, psicologi, criminologi, psichiatri in grado di intercettare il disagio delle persone che si trovano a vivere in quel contesto». Sulla vicenda interviene Vincente Santilli, segretario per il Piemonte del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria.«Immediatamente sono scattati i soccorsi nel disperato tentativo di salvargli la vita, ma a nulla sono valsi gli sforzi profusi». Santilli aggiunge:«Per quanto si è potuto apprendere, si tratta di un soggetto ristretto da un paio di anni circa, che non è mai stato protagonista di intemperanze ed ha sempre osservato diligentemente le regole penitenziarie. Pertanto, nulla poteva far presagire una condotta autolesiva da parte sua».

Il sindacalista evidenzia che «episodi simili, in un certo modo, portano con se il fallimento del sistema penitenziario, talvolta incapace di intercettare il disagio dei più fragili che vedono nell’estremo gesto l’unica via d’uscita. Siamo costernati ed affranti: un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato e per tutti noi che lavoriamo in prima linea».

Per il Segretario Generale Donato Copece, si rendono sempre più necessari gli invocati interventi urgenti suggeriti dal SAPPE per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane: «Si potrebbe ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli: il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della “messa alla prova”; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario».

Capece aggiunge: «Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti. E la polizia penitenziaria, che riteniamo debba connotarsi sempre più come polizia dell’esecuzione penale oltreché di prevenzione e di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordinamento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative».

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