Da Creta a Sassaia, attraverso il mondo

La testimonianza River Ferdinandy, greco di nascita, mamma danese, papà francese e nonno ungherese, racconta come in Valle Cervo ha trovato “casa”

Saliamo a Sassaia, un piccolo borgo di pietra nella Valle Cervo che sembra quasi sospeso nel tempo. È una mattina d’inverno, poco prima di Natale. La neve caduta a novembre incrosta ancora le cime attorno. Il silenzio avvolge tutto. Qui vive River Ferdinandy, un uomo che ha trovato in questa valle il senso di “casa” dopo anni di ricerca attraverso l’Europa e il mondo.

Io sono River

River è un vero cittadino del mondo: nato in Grecia da padre francese e madre danese, con radici ungheresi e un nome che già racconta la sua complessità. «River è il nome con cui mi chiama mia madre, ma molti in valle mi conoscono come Daniel, il nome che usano le persone più anziane», racconta con un sorriso. Il cognome, Ferdinandy, dichiara dell’origine ungherese della famiglia paterna. «Ha assonanze con l’italiano. Chissà che i miei antenati non lo fossero davvero e che poi si siano trasferiti nella pianure battute dagli impetuosi venti dell’Est», sorride un po’ sornione River.

Nonno scrittore, l’Ungheria e le radici

«La “y” finale tradisce l’appartenenza a un casato nobiliare. Il nonno era uno scrittore anche piuttosto famoso. L’ho perso da poco e qui a Sassaia mi ha raggiunto il telegramma di condoglianze da parte del premier Viktor Orbán. Non che mi ha abbia fatto piacere leggere il nome del mittente». River ha vissuto qualche anno in Ungheria. «L’infanzia l’ho trascorsa in Grecia, tra gli ulivi e il mare. Ho avuto poche occasioni per conoscere i nonni. Mi mancava il senso delle radici. Per capire meglio i miei genitori, per capire meglio me stesso, dovevo partire da lì. E così, da giovane uomo, ho voluto vivere con loro, i nonni. Il clima in Ungheria, però, già non era dei più belli. Vedere le condizioni di vita dei profughi siriani, respinti alle frontiere, mi ha portato a decidere di andarmene.Un clima asfissiante».

Una storia difficile quella dell’Ungheria, questa porta d’Europa, cerniera tra Occidente e Oriente, sempre in bilico tra afflati di libertà e ricadute autoritarie e intanto il Danubio scorre e porta al Mar Nero le acque lente delle nevicate e dei ghiacciai delle Alpi che nel fiume vi confluiscono. Scorie di un’Europa che ha cercato di farsi casa e faro di libertà ma che ora sembra ostaggio di spinte centrifughe, di ringalluzziti nazionalismi. Chissà che direbbe oggi un grande scrittore ungherese, quel Sàndor Màrai, che per tutta la vita ha cercato quell’Europa ideale, inseguendone il miraggio anche in America.

«Qui ho trovato la mia “home”»

River si sente europeo prima di qualsiasi altra appartenenza. «Sì, mi considero europeo, ma davvero! Non mi sento né greco, nonostante in Grecia sia nato e cresciuto, né danese, né francese. In realtà è qui in Valle Cervo che, per la prima volta, ho trovato casa; mi sono sentito a casa, nel senso di “home”. In italiano non c’è differenza: house e home si traducono indistintamente con casa. Qui ho trovato la “dimora”. Sento di appartenere a questi luoghi ».

La Grecia, gli ulivi e poi il mondo

Una storia, quella di River, che sembra un intreccio di geografie e culture. I suoi natali sono a Creta. Lì si erano conosciuti i genitori. «Entrambi appartenenti a famiglie benestanti, tradizionalmente dedite all’arte, ognuno per la propria strada cercava una vita più semplice e autentica. Dopo nove mesi dal loro incontro nascevo io. Sono nato contadino di olive. Io e i miei genitori abbiamo fatto quello di lavoro, i contadini. Fino a 17 anni ho vissuto lì. Poi ho trascorso 12 anni in Danimarca. Da lì sono andato in ricerca di me stesso. Cercavo qualcosa, non sapevo se fosse un luogo o una persona, o una verità. Ho abitato in Ungheria, in Portogallo, ho vissuto un po’ a Los Angeles, ma quella città non era per me».

Rosazza? Necessità di staccare, una mappa e il caso

Ed è in quegli anni di peregrinare in giro per il mondo che River conosce la Valle Cervo. Quella valle, conosciuta per caso, lo ha conquistato. «Nel 2012, ero stressato dal lavoro. Avevo bisogno di montagna, di pace; almeno per un mese. La Svizzera? Troppo cara. Le Dolomiti? Care e troppo frequentate. Optai per il Piemonte. Con la cartina aperta decisi di andare dove sarebbe caduto il dito. Arrivai a Rosazza. Fu amore a prima vista».

Sassaia, tre abitanti, zero auto e casa ecologica

Quell’amore lo ha portato a stabilirsi definitivamente nel piccolo borgo di Sassaia (Campiglia Cervo), dove vive ormai da quattro anni. «Ogni anno venivo per qualche settimana e questo mi ha permesso di instaurare relazioni e amicizie, poi con la pandemia del Covid è maturata la decisione di trasferirmi». Racconta River: «Siamo solo tre abitanti stabili, nessuna auto, e questo per me è importante. Non le amo, non le guido, mi piace saperle lontane. Ho trovato il mio equilibrio qui, in una casa che ho reso ecologica con pannelli fotovoltaici. Ho un piccolo orto e un frutteto che mi regalano grandi soddisfazioni».

«Biellesi chiusi? Non con me»

River non si è sentito mai uno straniero in questa valle. «Non riconosco vera l’immagine che i biellesi hanno di sé, di chiusura. Vi dipingete come orsi che respingono il forestiero, il “furest”, in dialetto. Per me non è stato così, ho sentito che qualcuno questo respingimento lo ha provato sulla propria pelle. Non io, io sono stato accolto con calore. La gente che ho conosciuto è autentica e aperta. Anche come coppia gay - io sono arrivato con quello che all’epoca era il mio compagno - non abbiamo mai percepito alcuna discriminazione, cosa che in grandi città del mondo non è poi così scontata. Anzi ci è stato chiesto se avessimo dei figli».

Ispirazione, nasce “Arfial”

Il legame con la Valle Cervo non è solo personale ma anche creativo. Con il progetto “Arfial Stories”, River racconta il Biellese e il Piemonte attraverso una lente emozionale e internazionale. «“Arfial” è una parola piemontese che significa sia spiraglio di luce che sospiro di sollievo. Mi piace questa dualità. Voglio raccontare il territorio in modo profondo, ispirando chi è sensibile e cerca un legame autentico con la natura e le comunità». River prima di approdare a Sassaia faceva il consulente in comunicazione digital, attività che continua a svolgere. «Ma, quando ho deciso di vivere qui, in valle, e ho acquistato casa, beh, mi sono concentrato nel sistemarla. C’è un detto che dice che bisogna partire da dove dormi. Quindi la priorità è stata quella. L’ho resa ecologica; ci tengo a fare una vita equilibrata e rispettosa del pianeta. Come già detto ho fatto un orto e ho piantato tanti alberi da frutto. Sistemate quelle priorità ho iniziato a concentrarmi su nuovi progetti, come quello del racconto». River rivela di essere sempre stato un narratore, sfruttando di volta in volta i media a disposizione. Che questo talento lo abbia ereditato dal nonno? Ora il mezzo che River utilizza di più è Instagram. «Ho trovato un pubblico abbastanza ampio, soprattutto nell’ultimo anno. Sono seguito da tante persone (Arfial ha 4400 follower, il suo profilo Iosonoriver oltre 65 mila, ndr.). Sono grato a Instagram, tramite questo social ho trovato amori, amici, lavoro. Ma, con i social ho un rapporto di amore e odio. I social creano dipendenza. C’è un flusso di contenuti superficiale, troppo veloce. Da fast food». Per questo River ha cercato un linguaggio diverso, vuole fare qualcosa di più sincero.

Un linguaggio emozionale. «l target su cui puntare sono
le persone altamente sensibili»

«Ho iniziato con alcune storie, soprattutto mie, personali anche profonde, dove svelo una piccola parte di me stesso. È stata un’attività terapeutica, a volte dolorosa. Quasi come se avessi fatto un’analisi sul lettino dello psicoterapeuta. Solo dopo sono arrivati i racconti del territorio. Per me il Biellese è bellissimo e ha tantissimo potenziale, purtroppo spesso non realizzato. A me questo piace. È bello quando vedi del potenziale non realizzato e tu riesci a tirarlo fuori, farlo esprimere. Questo territorio, ma potremmo allargarci a tutto il Piemonte, deve essere raccontato ma non in modo superficiale, tradizionale. Serve una modalità più profonda, emozionale. Può attirare le persone altamente sensibili come sono io. C’è un ambiente che mi fa sentire a mio agio e c’è tanto spazio. Come ha attirato me può attirare tanti altri». “Arfial Stories” è quindi l’idea di raccontare Biellese e Piemonte in modo internazionale e lento. «Nel nome c’è una parola piemontese e una inglese. Molto locale e molto internazionale. Ogni video ha un titolo in dialetto. Voglio crearmi un vocabolario».

La collaborazione con BIellezza

Per arrivare ai video che oggi propone sui suoi profili, alcuni realizzati con il contributo di Fondazione BIellezza, River si è applicato. «La vena creativa ce l’ho nel sangue. Da parte di mamma, tutti pittori e fotografi, da parte di papà, scrittori. Ma di video, di montaggio, non sapevo un granché». Con BIellezza River collabora a un progetto che si chiama “Abitare su Misura”, dove si raccontano persone come lui che hanno scelto il Biellese per le loro vite. River insiste: «Il Biellese, un po’ come tutte le aree interne d’Italia, ha un problema demografico. Problema che si manifesta soprattutto nei piccoli paesi, nelle vallate, in montagna. Bisogna puntare sul target delle persone più sensibili, altamente sensibili. Con queste persone è più facile creare legami a più lungo termine. Bisogna poi puntare sulla promozione di un turismo per tutto l’anno. Qui è bella l’estate, la primavera… ma, sono bellissimi anche l’autunno e l’inverno. Anche quando nevica, piove, c’è la nebbia».

«Sgusciare fagioli? Mi piace. È un’attività meditativa»

L’inverno in Valle Cervo piace molto a River. «Questo è un periodo in cui sono molto creativo e produttivo. Leggo, mi informo. Ogni mattina, quando mi sveglio, vedo la cima del Tovo innevata che prende la prima luce dell’alba incendiandosi di rosso. Il silenzio induce alla riflessione. L’orto non è produttivo. Ma ho da sgusciare i fagioli che ho raccolto nel tardo autunno. In valle li chiamano “pataluc”. Mi piace molto sgusciarli. Trovo che sia un’attività meditativa che svolgo un po’ per volta. Non devo più neppure fare legna e accendere la stufa per scaldare un’unica stanza come facevo all’inizio. Ho il fotovoltaico, la pompa di calore, i termosifoni… comodità moderne…», sorride. Per Natale cosa farà? Gli chiediamo. «Ogni anno ricevo più inviti. Gente che mi invita a casa sua, con le loro famiglie… Per non passare il Natale da solo, mi dicono. È un grande gesto di affetto... Ma per me è un giorno come tutti gli altri. Lo è sempre stato. Quando ero piccolo, questo periodo era quello più impegnativo nella raccolta delle olive. Non c’era tempo per soffermarsi e fare grandi cose... Si può dire che sono cresciuto senza la tradizione del Natale, e quindi mi viene naturale non fare niente! Non ho albero, non decoro la casa, non metto musica natalizia. Mi da un po’ fastidio il consumismo che si è costruito attorno. Le poche volte nella mia vita che ho festeggiato un Natale vero, è stato grazie alla mia nonna materna. Mi sembra strano, adesso, doverlo fare senza di lei. Stesso discorso vale per Capodanno. Vado a dormire presto, come tutti i giorni. La mia filosofia di vita è festeggiare la famiglia, gli amici, la natura in piccoli dosi tutti i giorni».

“...Tu ragazzo dell’Europa”

Lasciando Sassaia, ritrovata l’auto a Campiglia, ascoltata la storia di River, viene quasi istantanea la ricerca sul lettore multimediale di una celebre hit di Gianna Nannini.

“Tu ragazzo dell’Europa/Tu col cuore fuoristrada/Tu che fai l’amore selvaggio/Trovi sempre un passaggio per andare più in là/Viaggi con quell’aria precaria/Sembri quasi un poeta dentro i tuoi boulevard/Tu ragazzo dell’Europa/Porti in giro la fortuna/Tu che incontri tutti per caso/Non ritorni a Varsavia per non fare il soldato/Ora vivi in mezzo a una sfida per le vie di Colonia/E non sai dove sei/Tu ragazzo dell’Europa/Tu non pianti mai bandiera/Tu ragazzo dell’Europa”...

Correva l’anno 1982. Il muro a Berlino era ancora da abbattere ma i giovani già sognavano un’Europa senza barriere. Il brano parla di un ragazzo polacco, incontrato veramente dalla cantante, che fugge dall’oppressione che c’era nel suo paese per viaggiare per l’Europa. Gianna Nannini, in un’intervista rilasciata nel post Brexit, ha ricordato: «Dentro quella canzone c’era la spinta ad abbattere tutti gli steccati, era un inno che rispecchiava il desiderio di non avere muri, né frontiere, né servizi militari, né armi. Incarnava ed incarna ancora oggi l’idea dell’Europa, che è un sentimento d’appartenenza, anche a mondi diversi, a una diversità che ci fa forti». Ancora uno sguardo alla scogliera di rocce alla testata della valle e un pensiero a come le Alpi, nonostante l’apparenza, barriere e confini non lo siano mai state, anzi. Come attraverso di esse culture e popoli si siano invece incontrati; Alpi vero cuore d’Europa.

Quando la cultura può fare miracoli. L’evento a Sassaia con la scrittrice Avallone

Situato a 1.000 metri sopra il livello del mare, il piccolo borgo di Sassaia è un gioiello nascosto.Gli abitanti sono solo tre. La sua bellezza e il fascino storico sono rimasti perlopiù intatti anche grazie al fatto che lì in auto non ci si arriva. Nell’agosto appena trascorso il borgo ha però preso vita «grazie a un evento straordinario che ha mostrato il potere della comunità, della creatività e di una pianificazione meticolosa», a spiegare cosa sia accaduto è River Ferdinandy che dell’evento è stato il motore. «Organizzato dall’associazione locale Circolo Stelle di Sassaia ,denominata così in onore delle “stelle”, le donne del borgo che lavoravano instancabilmente dall’alba al tramonto, l’evento si è incentrato sulla presentazione di “Cuore Nero”, il libro di Silvia Avallone, ambientato proprio qui». Il successo dell’evento ha superato ogni aspettativa. «Il sentiero che collega Campiglia a Sassaia, un tempo via di accesso vitale per il borgo, è stato rivitalizzato con passi, risate e storie condivise. Circa 200 persone hanno partecipato, segnando il più grande raduno della storia di Sassaia. Per Pietro, il residente più anziano, ottantenne, è stata un’esperienza unica vedere la piazza del borgo così viva».

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