D’Avenia e la vita narrata come un’intensa Odissea

Scrittore e insegnante, ha conquistato il pubblico biellese con la sua dissertazione sulla scuola, i giovani e il senso della vita

Un “viaggio” oltre le aspettative fin dalla partenza: per ascoltare Alessandro D’Avenia, venerdì scorso a Biella nell’ambito del festival letterario Fuoriluogo non è bastato l’ampio spazio dell’auditorium di Città Studi. Decine di persone sono state dirottate nella sala vicina, collegata in videoconferenza.

Comunque, sia i tanti in presenza che i restanti a “relativa” distanza sono rimasti per più di due ore “affabulati” dall’epos omerico dell’Odissea, l’unico poema che viene utilizzato come metafora della vita, rivisto dallo scrittore-insegnante nel libro: “Resisti cuore” (di cui ha firmato 452 copie per la serata) dedicato alla moglie Alice “che lo ha riconosciuto” e che è di Biella… ovvero “Bugella”: piccola dimora (in opposizione a Vercelli: ampia cella) dove ritrovarsi dopo aver fatto “scuola”, riscoprendo come dice nel sottotitolo del testo presentato “l’arte di essere mortali”.

Il termine “scuola” infatti, ha spiegato all’inizio della serata, viene dal greco “skholé” cioè “tempo libero” in cui nutrire la mente che si apre quando il cervello è connesso con il corpo, se l’attenzione rimane desta e il pollice opponibile non serve solo per “scrollare” uno schermo sul quale i nostri adolescenti “vivono” per 3-4 ore al giorno.

Ma la nostra di oggi è la “scuola dell’obbligo”, dove per fare aggregazione si è pensato ai banchi con le rotelle e dove nell’emergenza Covid si sono messi i ragazzi dietro un pc per lo stesso numero di ore delle lezioni (per forza poi questi si “salvavano” togliendo video e microfono).

La scuola dovrebbe essere quella che prepara a un esame finale in cui il candidato sa rispondere alla domanda sul significato della sua esistenza. Invece nei nostri curriculum c’è tutto quello che sappiamo fare, ma non ci viene chiesto quanto abbiamo sofferto, cosa ci rende vivi.

Così ricordando ciò che sembra “ inutile”, come una storia di 3.000 anni fa che è molto più legata all’attualità delle “news” sempre uguali e ripetitive, D’Avenia ha sintetizzato, in una sera, ciò che fa nel liceo dove insegna: fa leggere integralmente in greco il poema in cui Omero chiede alla Musa di raccontare dell’uomo, di quell’Odisseo “l’odiato da tutti” che deve diventare “Nessuno” per salvarsi dal “mare di guai” e tornare ad Itaca per diventare Ulisse, dopo aver a lungo sofferto ed essere infine riconosciuto dal suo cane Argo, dal figlio Telemaco, dalla nutrice Euriclea e finalmente dalla moglie Penelope e dal padre Laerte.

Ulisse, infatti, è un eroe ben diverso da Achille, che incontriamo solo nel quinto libro dell’Odissea: prima si parla di di Telemaco che va a cercare il padre e di Penelope che con la sua tela, che tesseva di giorno e disfaceva di notte, pare legata a Biella, città del tessile.

Ulisse è seduto su una spiaggia a piangere per il desiderio del “nostos” (del ritorno), vuole tornare a casa da sua moglie Penelope, anche se la dea Calipso, con cui è stato per 7 anni dopo aver combattuto per 10 anni una guerra non sua a Troia e dopo aver peregrinato per il Mediterraneo, gli fa notare che sicuramente la donna è imbruttita e invecchiata, mentre lei sarà eternamente giovane e bella, ma Ulisse rifiuta l’immortalità e sceglie di essere mortale.

Per prima cosa allora l’eroe si deve costruire una zattera e Omero spiega in ben 2.000 versi l’arte di usare le mani e lavorare il legno, così come quando finalmente, dopo altre avventure per mare, arriva a Itaca e con l’aiuto del figlio si libera dei Proci. Penelope riconosce e abbraccia il marito solo dopo la prova del letto che lei dice di spostare nella sala del trono e che lui sa benissimo invece di aver ricavato lavorando e intagliando un ulivo, al centro della sua casa, che non poteva essere sradicato. Ognuno di noi deve essere riconosciuto a partire dal nome che ci è stato dato e così D’Avenia ha detto che nel suo nome Alessandro (protettore degli uomini) sua madre gli aveva dato la vocazione di insegnante che parte a conoscere i suoi allievi dall’appello. Da domani in molte aule si ripeterà questo rito e non bisogna illudersi: dopo qualche giorno gli insegnanti chiederanno solo “Chi manca oggi?” e gli studenti alzeranno le mani dopo una lezione di letteratura solo per chiedere “Posso andare in bagno?”. Ma forse qualcuno riscoprirà alla sera la bellezza delle palpebre che si appesantiscono per la lettura di un libro e, come diceva Ungaretti, (anche lui innamorato di Omero): «Subito riprende il viaggio».

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