Raccontare il territorio con le immagini
«Faccio il mestiere più bello del mondo»

Maurizio Pellegrini Mentre l’Università di Torino a Città Studi riflette su Riccardo Gualino, fondatore della Lux Film negli Anni 30, i videomaker biellesi ripercorrono la loro carriera

«Si sente dire talvolta: “il Biellese dovrebbe ripartire da Gualino”, citando il grande finanziere come modello di imprenditoria di successo. Ma tra Gualino e noi c’è un secolo di enormi cambiamenti. Potremmo imitare doti come il fiuto per gli affari, l’eclettismo, il mecenatismo, non la spregiudicatezza». Lo spiega Maurizio Pellegrini, regista e documentarista che è intervenuto al format dell’UniTo con il Premio Biella, dedicato all’imprenditore biellese, in corso a Città Studi.

«Non fu certo Gualino a ispirare la mia vocazione per il cinema. Quando iniziai a intrufolarmi in quel mondo, frequentando gli ambienti torinesi del Movie Club, non lo conoscevo e non potevo immaginare che qualche anno dopo, io come produttore in erba, Elena Bocchietto come autrice, Beppe Anderi come regista, ne avremmo raccontato le imprese in un film con la nostra società di produzione».

Quello di fare il regista è stato un sogno nato sui banchi di scuola e diventato realtà anni dopo con una scelta di vita forse un po’ incosciente, ricorda Pellegrini. Alla base di tutto la sua passione per il cinema e il tentativo di sfuggire al destino del telaio. Una prospettiva insolita a Biella, riservata a pochi coraggiosi. Metter su un’impresa di cinema, negli Anni 90, aveva una buona dose di temerarietà: «E quando con Beppe Anderi iniziò l’avventura a molti parve più un divertimento da ragazzi, a partire dal nome ariostesco della ditta:VideoAstolfoSullaLuna. In un contesto di monocutura tessile i tempi apparivano forse un po’ più maturi per l’affermarsi di un cinema legato al territorio, grazie anche alle nuove tecnologie, al video, al basso costo, e la cosa ci affascinava. Era certo un cinema con la c minuscola, in una dimensione più artigianale che industriale, ma più attento a raccontare il Biellese, la sua identità, la sua storia, i suoi grandi personaggi. Un fare diviso tra iniziativa propria (produrre film documentari su storie locali da diffondere a una platea nazionale) e commissione (i lavori per clientela pubblica e privata che sembrano lasciare il tempo che trovavano ma che adesso, rivisti dopo un ventennio, sono già storia».

E come sempre, fare un lavoro che diverte sembra negare il diritto a essere pagati, perché ancora oggi si stenta a riconoscere la natura lucrativa delle professioni artistiche. «Ma oggi diventa un’assoluta necessità, altrimenti la città non sarà mai veramente città creativa, rimarrà quello che è sempre stata, città tecnica», prosegue Pellegrini.

«Le cose più appaganti per me, in questi vent’anni e più di attività, sono state il senso di libertà e il gusto della scoperta. Ho sempre patito la prigionia degli ambienti da ufficio, guardavo il panorama dalla finestra e pensavo: la vita è là fuori. Girando film sono entrato contatto con innumerevoli mondi; ho incontrato pastori, operai, sindacalisti, imprenditori, artisti, sportivi, alpinisti, medici e molto altro. Ho girato un po’ il mondo, filmato gli immigrati di Riace, gli alpinisti in Patagonia, i paesaggi del Carso in Croazia, le grandi funivie sulle Alpi. Ho conosciuto meglio il Biellese, i suoi angoli unici, certe storie mai raccontate (quella del Patto della Montagna), personaggi illustri poco noti, un patrimonio audiovisivo poco valorizzato».

Pellegrini è «salito in cattedra» con un’ attività didattica per il progetto «Contiamo su di noi» della compagnia teatrale Storie di Piazza, un programma di educazione all’immagine per avvicinare al linguaggio del cinema le giovani generazioni e per creare una vetrina di filmati che promuovono il territorio.

«Un’occasione anche per me, di avvicinarmi alla fiction, che era stato il mio primo amore da filmaker dilettante. Purtroppo il cinema ha pure una parte meno creativa che è preponderante. Oggi il 20% è fantasia e l’80 burocrazia, ma questo non toglie la sensazione, in certi momenti, di fare il mestiere più bello del mondo» conclude.

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