«Tessile in crisi? Sono fasi normali e sappiamo reagire»

Il vicepresidente Uib Barberis Canonico: «Le difficoltà non sono mai mancate ma abbiamo imparato a trasformarle in nuovi stimoli e opportunità»

Perché gli imprenditori tessili dicono sempre che sono in crisi? Il ritornello nel Biellese lo si conosce a memoria ma in realtà c’è una chiave di lettura che non corrisponde all’immagine negativa che ne esce, al territorio per primo e alla solidità delle aziende che affrontano da sempre una congiuntura ondivaga mantenendo saldo il timone.

«Chiaramente qualunque meccanismo che definisce la situazione economica lavora sui numeri. E questi numeri hanno degli alti e dei bassi» spiega il vicepresidente Uib Paolo Barberis Canonico che a settembre raccoglierà il testimone da Giovanni Vietti per passare alla guida dell’associazione. «Questi numeri servono per capire le tendenze di medio e lungo periodo. Il tessile ha sempre avuto andamenti discontinui, fa parte della normalità del nostro tipo di industria. Ma come si può facilmente dimostrare, il Biellese ha sempre avuto capacità di risposta ai momenti bassi, reagendo con azioni efficaci e aggressive se necessarie».

E’ di questi giorni, a conferma del fatto che il tessile è un comparto vivo e attivo, la notizia che l’export di beni italiani nel 2024 è atteso a una ripresa del 3,7 per cento per consolidarsi nel prossimo anno al +4,5. E di questo 3,7 per cento il comparto tessile moda, copre una parte importante.

Nonostante la contrazione recente, il comparto è rimasto su livelli superiori a quelli pre-Covid, con un aumento di 123 milioni in valore assoluto rispetto al fatturato 2019 e un export stabile che supera di molto i 4 miliardi di euro (dati Sistema Moda Italia).

«Lo sconforto di questo momento, per esempio, è dato dal rallentamento oggettivo della produzione che comunque non ha nulla a che vedere con un problema strutturale» prosegue Barberis Canonico. «Arriviamo da un periodo di difficile lettura, condizionato dai provvedimenti imposti dalla pandemia. Questi hanno dato uno scossone al sistema economico e sociale che ha esasperato l’effetto “mercato zero”. La tensione ha poi fatto sì che dal pessimo si passasse allo straordinario con una ripresa mai registrata prima e in tutti settori. E’ evidente che il 2024 riportasse tutti alla normalità. Ed è sempre stato così, anche se con oscillazioni meno estreme ovviamente».

Ma se le difficoltà non sono mai mancate, anche la reazione è sempre stata puntuale. Il tessile biellese è solido, da due secoli si è costruito una reputazione e un apprezzamento riconosciuti in tutto il mondo.

«Le aziende che prosperano, oggi hanno medie e più solide dimensioni rispetto al passato e una qualità di prodotto altissima. Prima, anche se grandi, avevano comunque un’impostazione pur sempre artigianale. Oggi sono moderne, completamente rinnovate e in grado di affrontare il mercato e le sue dinamiche. L’imprenditore biellese ha maturato una capacità di risposta strategica molto efficace che fino a 20, 30 anni fa non aveva. Abbiamo capito che la crisi fa parte del lavoro e abbiamo imparato a reagire».

Il vicepresidente Uib, non nega la tendenza «al lamento» della categoria, che così presta il fianco a letture fuorvianti. E con esso c’è pure il «basso profilo» che il più delle volte nasconde azioni concrete verso il territorio, l’ambiente e il sociale.

«Noi siamo uno stereotipo da sempre, a 360 gradi. Oggi si chiama welfare ma è dimostrato che si sono costruite scuole, ospedali, case di riposo, villaggi per i nostri collaboratori con i quali abbiamo un rapporto stretto. Le aziende e non solo quelle grandi, da sempre investono in welfare sociale di più di quanto fanno sapere. Abbiamo la tendenza a essere riservati ma l’impegno e l’attenzione alla comunità non mancano e non sono mai mancati».

E conferme della solidità del l’imprenditoria locale si trovano nei dati sull’occupazione.

«Il più significativo di tutti è la richiesta di manodopera, che dimostra che su tutto il territorio regionale e in particolare nel Biellese, nel nostro settore è molto elevata. Se al primo posto c’è l’accoglienza food and beverage, subito dopo c’è l’industria tessile ormai in maniera stabile. Un altro dato riguarda la percentuale di contratti a termine sugli indeterminati, 7 a 100, più alta del resto d’Italia. Il contratto a termine il più delle volte è infatti una “taratura” del dipendente, al quale viene confermato poi un posto stabile e con un percorso professionale di crescita. Nelle nostre aziende, più che in altri settori, la relazione tra collaboratori e impresa è una questione di fiducia a lungo termine, di condivisione di valori, di una cultura che ci rende forti.

Ci sappiamo muovere non solo nel tessile classico, ma anche in quello tecnico, nell’automotive come nel medicale. Per questo abbiamo bisogno dei giovani nei nostri reparti. Ci sono spazi nuovi da esplorare e sperimentare e idee da mettere in pratica. Solo le nuove generazioni possono darci gli stimoli giusti. Il tessile italiano e quello biellese sono vivi e dinamici. Le crisi? Offrono opportunità e stimoli per fare di più e meglio».

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