FUORI DAL SEMINATO - Carne da macello

Nelle parole della madre di Erika Preti, di rara compostezza e lucidità, sta tutto il dramma delle vittime e delle loro famiglie e tutta l’inadeguatezza delle carceri italiane.

In un’intervista televisiva la signora Tiziana ha dichiarato di aver compreso e persino accettato le esigenze sanitarie poste alla base della sua scarcerazione dell’assassino di sua figlia, ma di non comprendere come sia possibile che non esistano strutture idonee ad accoglierlo e a evitare, a lei e a suo marito, lo strazio di incontrarlo per strada. Vivono nell’angoscia e nella paura.

Nel nostro Paese le vittime e le loro famiglie sono spesso vittime due, anzi, tre volte: del reato, dell’inadeguatezza di una giustizia lenta e, infine, di una punizione che, se e quando arriva, è sovente destinata a restare sulla carta.

Nessuno si illuda, però: questo dramma non si combatte buttando via la chiave delle celle, ma cambiando un sistema carcerario che, da anni, è divenuto una vera e propria emergenza nazionale.

Le carceri per la nostra Costituzione dovrebbero essere luoghi di riabilitazione in grado di accompagnare i condannati in un percorso di reinserimento nella società civile. Invece sono, troppo spesso, pollai sovraffollati, dove i progetti rieducativi scarseggiano e i finanziamenti pure; luoghi nei quali i presidi medici e psicologici non sono adeguati e nei quali i detenuti vengono spesso abbandonati a sé stessi (il che significa, tra l’altro, che spesso continuano a dirigere indisturbati le proprie attività criminali esterne).

Il numero dei suicidi legati al mondo carcerario è la spia più evidente del malessere profondo e diffuso del mondo carcerario che non risparmia nessuno, né i detenuti (84 suicidi nel 2022), né guardie carcerarie che hanno un tasso di suicidi più che doppio rispetto alla popolazione comune (l’1.30 per mille a fronte dello 0.60 per mille nella popolazione normale).

Domenico Benemia, guardia carceraria, in un’intervista dello scorso anno ha definito il carcere «come un paese senza bar, tabacchino, supermercato. Un paese vuoto. I detenuti passano il tempo ad accumulare frustrazione che poi riversano su di noi. Sì, ci sono i volontari ma si dovrebbe fare molto di più per il loro percorso di reinserimento. Nessuno di noi ce l’ha con loro, è il sistema che non funziona» e conclude amaro: «Siamo carne da macello: noi e loro».

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