La prima forma di rispetto verso le donne è rivolgersi a loro con un linguaggio corretto e appropriato. La prima e più diffusa forma di violenza contro le donne è rivolgersi a loro con un linguaggio distorsivo, o raccontare le loro storie di violenza e di morte spettacolarizzandone il dolore. Il caso Fricano è un esempio da manuale. Come sempre, sospendo il giudizio sulle ragioni mediche che hanno portato alla scarcerazione dell’assassino di Erika; non ho elementi per comprendere se, come detenuto, fosse o meno in pericolo di vita. Le parole di suo padre, invece, sono inaccettabili, violente e profondamente maschiliste. Le condanno senza se e senza ma. Perché la frase: “Nessun femminicidio, è stata una lite tra ragazzi” non si può sentire, non si può pronunciare, non si può leggere e non si dovrebbe neanche pensare. Ben altri pensieri dovrebbero affollare la mentre del sig. Fricano padre, a cominciare da qualche domanda sul suo ruolo educativo. Ma neanche i media vanno esenti da responsabilità. Perché la normalizzazione e la spettacolarizzazione della violenza sono una delle gravi malattie della nostra società. Una notizia è una notizia e va data, certo, ma nel rispetto delle vitti- me e delle loro storie, senza farne uno show e senza tollerare acriticamente frasi violente e lesive della dignità delle donne. La televisione, ancor più dei giornali, è piena di storie tossiche di violenza ‘normalizzata’; di quella violenza, subdola, che viene comunemente ritenuta naturale, normale, accettabile, e rispetto alla quale si ritiene, addirittura, che incomberebbe sulla vittima un dovere di accettazione, proprio in quanto donna. Perché è questo il messaggio tossico che buca lo schermo e che arriva dritto al cuore dei nostri giovani: “gli uomini possono, le donne devono subire”. Faccio due esempi: poche settimane fa l’Autorità Garante delle Telecomunicazioni ha fatto un richiamo formale alle trasmissioni Mediaset ‘C’è Posta per Te’ e ‘Forum’ per sessismo. Nel caso delle De Filippi, perché nel corso di una trasmissione ha fatto “emergere un modello di relazione di coppia connotato da violenza e un’immagine stereotipata della figura femminile”, senza peraltro censurare i comportamenti violenti e irrispettosi del marito. Nel caso di Forum, perché è stato veicolato “un messaggio distorto volto a giustificare i comportamenti violenti del protagonista maschile della storia nei confronti della protagonista femminile, facendo apparire normali i modelli di relazione interpersonale improntati all’aggressività e alla scorrettezza comportamentale”. In quelle trasmissioni sono state rappresentazione presunte ‘storie d’amore’ di ‘famiglie normali’, nelle quali l’amore non c’entra nulla e le famiglie non sono affatto normali. Non è amore. Non c’è amore nella violenza domestica. Ma anche quanto i media tentano di dare voce alle vittime, non sempre lo fanno con il dovuto rispetto e tatto. L’intervista della De Girolamo alla vittima dello stupro di gruppo di Palermo è un altro, e non meno scivoloso, esempio di voyeurismo collettivo, che trasforma una donna da vittima in fenomeno mediatico. Lo show di Grillo da Fazio, non interrotto dal conduttore, è un altro fulgido esempio di sproloquio sessista (tra l’altro, non aiuta affatto la difesa legale del figlio in un processo per stupro delicatissimo). Tutto ciò ha un nome: vittimizzazione secondaria. Vittimizzazione secondaria è quella forma, particolarmente odiosa, di vessazione ulteriore inflitta alle vittime di violenza, e accade ovunque intorno a noi: nelle aule dei tribunali (‘ma com’eri vestita?’) si chiede alle vittime di stupro), in tivù, sui giornali, nelle chiacchiere da bar... Vittimizzazione secondaria è ogni frase, azione o giudizio che trasforma la vittima in imputata. Le parole sono pietre.
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