A spasso per la città. Monumentali incontri biellesi a Torino

Mi trovo al centro di Torino per lavoro, ho un appuntamento con un funzionario regionale per il coordinamento di una importante iniziativa di promozione. Sono in anticipo di un buon quarto d’ora, mi siedo su di una panchina di un piccolo parco, prendo in borsa i fogli che volevo controllare. La mattinata è piacevole, pur essendo inverno, il metallo della panchina è ancora freddo, ma non ci faccio caso più di tanto. Mi suona il telefono, è dall’assessorato. Il funzionario che devo trovare non arriva, è trattenuto da altra parte, mi rimanda a metà pomeriggio. Uffa, ho in pratica sei ore da riempire e non ho, al momento, altri impegni sabaudi.

Il generale
Alzo gli occhi cercando ispirazione e casualmente incrocio lo sguardo di una persona che conosco, perlomeno di nome. E’ il generale Alessandro Lamarmora, con tanto di cappello piumato. Mi viene quasi un saluto, ma lui non ci fa caso, sta guardando fiero oltre il palazzo a fronte. A questo punto faccio io caso al luogo dove mi trovo: al Giardino Lamarmora di via Cernaia. Grazie Alessandro, forse ho trovato come impegnare questa mezza giornata: me ne vado in giro per Torino a salutare altri amici biellesi, quelli immortalati nei monumenti cittadini. E non devo fare tanta strada: Pietro Micca mi aspetta all’angolo di questa stessa via con corso Galileo Ferraris, 150 metri più in su. Per la cronaca, il monumento al fondatore del corpo dei bersaglieri è del 1867, opera di Giuseppe Cassano e Giuseppe Dini, che lo hanno ritratto in piedi, in divisa e con la spada sguainata.

Il minatore
Se il Mastio della Cittadella di Torino è ancora al suo posto, dietro al monumento del Micca, lo deve proprio all’eroico gesto del soldato saglianese, che il 29 agosto 1706 si sacrificò con grande coraggio per salvare la Cittadella assediata dai francesi, facendo saltare la galleria. Il Museo Pietro Micca è a due passi, con la possibilità di visitare le gallerie, con un lungo percorso animato da effetti, allestimenti e immagini, compresa la scala di collegamento tra i due livelli dove avvenne lo scoppio. Poco lontano, nel punto dove venne trovato il corpo, c’è un Crocifisso e una corona di fiori. Il museo l’ho visto anni fa, ma l’emozione me la ricordo ancora. Nel monumento, realizzato da Giuseppe Cassano nel 1864, Pietro Micca ha in mano la miccia, lo sguardo teso e fisso e i lunghi capelli fermati con la bandana. Nel prato alle sue spalle, un altro biellese famoso, Michelangelo Pistoletto, ha fatto tracciare con le pietre un Terzo Paradiso: nelle due azioni c’è quasi una continuità di nobili intenti, per salvare qualcosa di grande.

Tutti a cavallo
Torno sui miei passi verso via Cernaia, ho altri monumentali appuntamenti in centro. Guardando a destra in corso Ferraris si vedono le quattro colonne doriche unite che sostengono la statua di Vittorio Emanuele II. Non sembra, ma il monumento è alto 39 metri e il Re si trova più in alto dei tetti vicini! Passando da piazza San Carlo non posso fare a meno di guardare con occhi diversi il magnifico “caval ’d bruns” che tiene in groppa il Duca di Savoia Emanuele Filiberto. E’ un’opera del 1838 di Carlo Marocchetti, un autentico capolavoro dell’arte statuaria ottocentesca, che mi rimanda a ricordi di scuola, al Gattamelata di Donatello a Padova o al Colleoni del Verrocchio, a Venezia. A questo punto mi ricordo che c’è anche un biellese a cavallo, tra i monumenti di Torino. E’ Alfonso Lamarmora, generale pure lui come il fratello, famoso per la campagna di Crimea. La statua al centro di piazza Bodoni è elegante, compita, il cavallo è in posa da dressage, con l’anteriore sinistro piegato in alto. Troppo formale, la guerra è lontana, oltre Sebastopoli, non mi ricordo neanche di fotografare.

Manca qualcuno?
Seduto in un bar, a venti passi dal cavallo di Alfonso, guardo distrattamente la mappa di Torino, ripassando il percorso. Un paio di fratelli della Marmora, il Pietro Micca salvatore della città, poca roba. E poca considerazione per la nostra storia. Passo allo stradario alfabetico: A come Avogadro non c’è, D come Delleani, non pervenuto, G come Gualino, idem. Torno ai fratelli: via Alfonso Lamarmora c’è, ma defilata dal centro, alla Crocetta. Chiaramente via Pietro Micca, da piazza Castello a piazza Solferino, si guadagna un posto d’onore, se l’è meritata. Manca qualcuno? Alla esse ho un sobbalzo, ma certo, i Sella! Come ho fatto a non pensarci? Il problema è che - a quanto pare - non ci hanno pensato neanche i torinesi. Via Quintino Sella esiste, ma è oltre il Po, sulla prima collina. La conosco bene, la percorro qualche volta per uscire da Torino partendo dal Monte dei Cappuccini, per evitare il traffico di corso Casale. Cosa mai avrà fatto il buon Quintino per meritarsi questo esilio collinare? D’altra parte non è molto diversa la situazione di Biella: via Pietro Micca è lineare e luminosa, tra il moderno Quartiere degli Affari e piazza Martiri. Via Quintino Sella va da san Sebastiano a piazza Cossato, alla base della collina del Piazzo. Per carità, è una via storica, ma ora defilata e all’ombra dei palazzi.

Il geologo fuori sede
Trovata la via, spunta anche il monumento. Per la verità in una bella posizione, che però non è la sua. Vi racconto cosa è successo. Il monumento venne realizzato nel 1894 da Cesare Reduzzi e subito collocato al centro del cortile d’onore del Castello del Valentino, che ospitava allora la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri e ora la facoltà di Architettura del Politecnico. Nel 1932 la statua venne sposta provvisoriamente, per lavori, in una aiuola a fronte del castello, verso corso Massimo d’Azeglio. E li rimase. Nell’opera, il Quintino nazionale appare assorto a guardare un qualcosa in sua mano sinistra, certamente un minerale, visto che nella mano destra tiene il martello da geologo. Nel piedistallo è incisa la dicitura “Scienziato e statista insigne, promosse la fondazione di questa scuola”. Chi legge si chiede di quale scuola, tra i platani del parco.

Eterna è la memoria
Ricordo che nel 2013, in occasione del 150° anniversario della fondazione del Cai, tra l’altro avvenuta proprio al Castello del Valentino, proprio a Biella lo storico Pietro Crivellaro propose di ricollocare il monumento nel suo luogo d’origine. Ma al momento la sollecitazione è rimasta inascoltata. Vagabondare per le vie di Torino con la testa alta, a cercare figure di un mondo lontano nel tempo, è stato un modo straordinario per riempire di valori uno spazio apparentemente perso. I monumenti moderni molto spesso non sopravvivono a coloro che li hanno pensati e questo ci fa capire come grande sia stata l’intuizione e l’opera di quanti ci hanno preceduti.

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