Valdilana. Le “false” locande alpine e altre storie

Domenica scorsa, ore 9. Guardo fuori dalla finestra per capire se il mondo intorno a casa è rosso o arancione. In realtà è azzurro, l’azzurro del cielo. Se ho ben capito, con l’arancione possiamo allungare la passeggiata domenicale, sempre senza uscire dai confini comunali.
Mi fa sorridere pensare che questo è uno dei vantaggi offerti dalla fusione comunale di Mosso con Trivero. Possiamo fare chilometri senza uscire dai confini, Valdilà…, Valdiqua!

Un beato giramondo
Così come non avevo mai osservato con attenzione la Cascina Regis, a duecento metri da casa, sulla strada per Capomosso. Con molta probabilità, la cascina ha ospitato il lazzaretto durante la peste del 1630, come sembrano dimostrare la corte davanti, chiusa da alte mura, e alcune fonti tramandate oralmente. Chissà se potrà essere utile anche nel terzo millennio. Speriamo di no.
E allora via a piedi, in salita passando per tratti di mulattiere antiche, riaperte qualche anno fa per farci passare la corsa del Mosso Vertical Mille.
Capomosso è una borgata storica, la più antica del vecchio e credo anche del nuovo Comune. Una frazione di beati, pastori e carbonai. Il beato è Giovanni Garbella da Vercelli, nato qui nel 1205, laurea in diritto romano e canonico a Parigi, dove inizia ad insegnare. Continua a fare il formatore a Vercelli, dove fonda un convento. Entra nel 1229 nell’Ordine dei Predicatori, istituito da San Domenico, diventandone nel 1264 Maestro generale dell’Ordine. Fino alla morte, avvenuta il 30 novembre 1284 a Montpellier, gira instancabilmente per tutti i conventi domenicani d’Europa, Inghilterra compresa, “spinto da un indomabile zelo e da una robusta santità”, come si legge sulle sue note biografiche. Non solo la santità doveva essere robusta, ma anche la sua costituzione fisica, visto che ha sempre viaggiato a piedi.

Evasione fiscale?
Per cui, dopo aver letto la targa che lo ricorda nella chiesetta di San Rocco di Capomosso, riparto rinfrancato anch’io a piedi. Passo oltre la bella (e unica…) cappella dell’Angelo Nero, evito la ripida scalinata in pietra della mulattiera F3, ora piena di scivolose foglie, prendendo la più comoda ma più lunga pista sterrata e arrivo nella conca di Cascina Crolle. Il mio altimetro digitale segna 945 metri sul livello del mare, ma nella prima cascina leggo l’insegna “Trattoria Prealpina 1023 slm”.
O bella, è tarocca la mia applicazione, oppure lo erano i cartografi del secolo scorso. Nulla di questo, l’indicazione a muro è volutamente falsa, ed è questione curiosa di evasione fiscale che ci riporta agli anni Trenta. Il governo di allora, per favorire le attività turistiche di montagna, defiscalizzava le strutture ricettive oltre i mille metri di quota. Magicamente, tutta una serie di locande alpine poste appena sotto, si elevarono in altitudine, con tanto di insegna in evidenza. Funzionò qui, alla Cascina del Campanile vicino al Santuario della Brughiera, alla Zerbola di Veglio e in altri luoghi.

Attenti al lupo
Il sentiero riprende a salire, nella fresca mattinata di fine novembre, fino ad aprirsi di colpo sbucando nella parte alta del vallone della Poala. A fronte la Rocca d’Argimonia, la Panoramica Zegna con le gallerie e la Bocchetta di Luvera, nostra meta intermedia. Già, Luvera o “luera”, ovvero fossa per catturare i lupi. Eccole le luere, due ancora ben visibili alla Sella del Pomo, punto obbligato di passaggio di uomini, mandrie, greggi e predatori sulla strada dell’alpe.
Ora le fosse sono praticamente colme di terra, e vi sono cresciuti alberi. Ma in origine erano profonde anche quattro metri, come risultava dallo scavo archeologico fatto non lontano da qui dal DocBi.
La conclusione della salita si avvicina con un lungo traverso verso la Panoramica, tratto panoramico e aperto, con cascine, pascoli e una Madonna d’Oropa che ci guarda oltre la grata di una robusta cappelletta.
Come sempre, alla Bocchetta di Luvera ci saluta Rudi e ci offre un caffè in terrazza. Anche il Monte Rosa ci saluta, assieme ad un frammento innevato di Svizzera, lo Stralhorn e il Rimpfischhorn.

Il tesoro di Dolcino
Il sentiero di discesa è per dieci minuti lo stesso della salita, poi si rimane in quota traversando verso sinistra, per raggiungere un dolce ripiano sulla dorsale che separa due versanti. Riappare mezza Pianura Padana, con il limite dell’orizzonte che arriva ai primi Appennini e alle Prealpi Orobiche.
Qui si trova la Casa Alpina Ermenegildo Zegna, davvero in gran bella posizione, e si incontra il Sentiero delle More, n. 2 dell’Oasi Zegna, che parte dal tornante della Bellavista, sopra Trivero.
Proprio qui si è cercato, senza successo, il tesoro nascosto nell’estate del 1306 dall’eretico Dolcino. Il sottoscritto sapeva della sua esistenza, o meglio aveva identificato il punto preciso producendo una falsa mappa. E qualcuno c’era cascato. Ma la suggestione è tale che ancora adesso, passando, guardo dentro ai piccoli anfratti che trovo, nella speranza di veder luccicare qualcosa.
Salvo poi sobbalzare ad un rumore improvviso nel bosco. Sempre qui, un paio di mesi fa, sono stati avvistati dei lupi.

Disco dance al Campanin
Lascio le paure del facile Sentiero delle More per prendere a destra la ripida discesa verso la Brughiera, lo stesso sentiero che all’opposto sale alla Chiesetta Alpina e al santuario di San Bernardo.
La stradina dei Prapien, teatro di questi tempi dello “struscio” di Valdilana, è come al solito ben animata. Ma ognuno tiene la sua parte e accenna all’incrocio ad un saluto di mano, come fanno i motociclisti. Dura riconoscere chi si ripara dietro mascherine di ogni fatta.
Un saluto malinconico devo farlo anche alla Cascina del Campanile, con la torretta che le dà il nome. Era sicuramente la cascina più bella del reame, qui ho mangiato, bevuto e ballato anch’io nell’altro millennio, nelle ultime feste organizzate in questa sorta di discoteca alpina. Peccato che ora sia in rovina a causa del terreno attorno, pieno di sorgenti che ne hanno minato la stabilità.
Intanto le campane del Santuario battono il mezzogiorno, ma in mezz’ora saremo a casa. Si passa per l’antica mulattiera che taglia perpendicolarmente i vasti pascoli tra il Prapien e la Brughiera. Peccato che l’acqua disgraziata del 3 ottobre scorso l’abbia mezza rovinata, incanalandosi tra i muretti.

Nella grande fattoria…
Per contro vi invito a vedere - quando si potrà - come sta cambiando in meglio questa parte della valle di Mosso, con nuove attività agricole e turistiche. Nei dieci minuti di discesa verso casa osservo gli animali della Cascina del Prapien che pascolano, con quelli dell’Edis Garbella, su tutto il panoramico altopiano. Sono cavalli, mucche, capre, e pecore e quant’altro. A sinistra, il grande prato dietro la Cascina il Faggio è tutto occupato da serre e da coltivi nuovi; appena sotto, la casa vacanze Casabrin mette in bella mostra la libreria sospesa agli alberi e la locanda agricola Gribaud risponde con oche, galline e la simpatica maialina Frida.
In sintesi, questo è il mio giro ad anello di domenica scorsa: dieci chilometri di cammino con 450 metri di dislivello in salita, poco più di tre ore con le soste. Tanta roba e tutta… in prossimità.

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