Dietro l'angolo / Biella
Domenica 12 Luglio 2020
Valle d'Aosta. Tra fede e natura, tanto Biellese in Val D’Ayas
Da anni - potrei dire da mezzo secolo, se tale affermazione non mi facesse invecchiare di botto… - passo diverso tempo in Val d’Ayas, dove abbiamo la fortuna di disporre di una baita in affitto. Per questo, ho avuto modo di conoscere bene quella magnifica realtà valdostana, una valle che finora ha saputo conservarsi bene, nell’ambiente e nello spirito della gente, senza cedere più di tanto alle lusinghe del “divertimentificio alpino”, più evidente in altre località poco lontane.
Il tempo mi ha inoltre permesso di conoscere bene lo stretto legame che la Val d’Ayas ha con il territorio biellese, un rapporto costruito in anni di presenze di campeggi estivi delle parrocchie biellesi e non solo. Tanti sono infatti gli amici che hanno residenze in quella valle e altri ancora hanno fortemente legato la loro vita tra Biellese e la conca di Ayas.
“Verso l’Alto”
Il primo amico biellese di cui vi parlo è Pier Giorgio Frassati. Amico perché tutti l’avremmo voluto compagno verso l’Alto, su per i sentieri da Pollone a Oropa, come tutti avremmo voluto saper vivere come lui, e non “vivacchiare”. Per fortuna ci rimane come esempio costante ed è sempre un’emozione salire il Sentiero Frassati di Ayas, per raggiungere le poche baite e l’albergo di Fiery, dove la famiglia Frassati era solita soggiornare per le vacanze estive, fin da quando Pier Giorgio era ancora bambino.
E’ un luogo severo e straordinario, a picco sulla valle, tra bianche cascate e larici in sbrova, si direbbe in dialetto. Una targa in pietra mi aspetta ogni anno di questi giorni e si chiude con le parole “…quel torrente sul piano di Verra… insegue ancora quel bimbo lanciato nel Dono. 4 luglio 1925”. Ed era il 4 luglio anche sabato scorso, giorno del mio compleanno, quando sono arrivato in baita tardi, con la luna piena. Il giorno dopo, domenica, si preannuncia una giornata spettacolare ed eccomi in giro a scattare le foto che vedete in questa pagina.
La finestra sul Rosa
Il secondo amico è Gino Falchero. La sua casetta, alta sui prati di Lignod, rimane desolatamente vuota senza di lui, che non se la sente più di salire da Pollone. La sua camera ha una finestra, fronte letto, che inquadra il Monte Rosa. E mi diceva di dormire con gli antoni non chiusi, per non perdere un attimo dello spettacolo. Lo ricordo bene, con il figlio Fabrizio, a prendere vermi nel letamaio vicino della nostra baita, con la promessa – mai mantenuta – di portarmi le trote pescate a Brusson, così come mi fregava i funghi nella pineta di Pra Charbon, arrivando al mattino presto.
Fabrizio scomparve nell’ottobre del 1989, in un ghiacciaio austriaco. Gino mi disse: se è lì lo tiro fuori. Ma non ci riuscì. Ebbe tardiva e inutile pietà il ghiaccio, che sciogliendosi restituì il corpo nel settembre di quindici anni dopo.
Falchero è compare di penna di un altro caro amico di Pollone, Vittorio Canepa, che con la moglie Jolanda ha condiviso molti dei miei giorni di Ayas. Insieme, Gino e Vittorio hanno scritto un libro importante e prezioso libro dal titolo “Valle Elvo. Alpeggi, borghi, gente e caratteristiche”.
L’oro del commendatore
Nella parte alta di Antagnod, all’interno di un parco pubblico, si trovano le due imponenti Ville Rivetti, ora sede del municipio di Ayas. Le residenze furono costruite nel 1924 da Giuseppe Pinot Rivetti, industriale biellese, passate poi nel 1975 alla Regione Valle d’Aosta.
Dal 1938 al 1948 il commendator Rivetti si impegnò in una impresa poco consona con il carattere biellese: divenne infatti cercatore d’oro, come socio della miniera aurifera Chamuosira/Fenilliaz di Brusson. Ora la miniera è una attrazione turistica, sulla strada che porta a Estoul e al Col Ranzola.
Tra il 1965 e il 1971 le ville Rivetti ospitarono le vacanze estive dell’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Chi scrive ricorda che in quei periodi era facile trovare, sui sentieri attorno ad Antagnod, strane coppie di improbabili turisti, veri marcantoni in giacca e cravatta. Erano in realtà alcuni corazzieri della scorta presidenziale, dispensati dal coprirsi col pennacchio e di portare la sciabola, ma facilmente riconoscibili in mezzo a vocianti compagnie di escursionisti.
Genepy e sabot
Un’altra grande casa di Antagnod, da tempo diventata una bella residenza turistica, ha sempre attirato la mia attenzione per aver ospitato molti giovani biellesi, a partire dagli anni Sessanta. Era la casa alpina dei Fratelli delle Scuole Cristiane, istituzione formativa per tanto tempo presente a Biella nel grande palazzo di via Tripoli, allora Convitto Biellese, ora sede di uffici comunali.
I ragazzi delle scuole superiori, ospiti del collegio, salivano ad Antagnod per gli esercizi spirituali e per un paio di settimane estive, prima degli esami. Ho racconti gustosi di coetanei, che ricordano le fughe serali dalla grande baita, con assaggi nascosti di genepy e occhiate furtive sotto le lunghe gonne delle bariste. Che avevano, un po’ come le fatine dai pé d’oca di Netro, non dei tacchi a spillo ma dei più pratici sabot di legno!
“Non vi apro solo la porta… “
Ma certamente la baita biellese più conosciuta di Ayas è quella nel villaggio di Magneaz, sulla strada alta che da Antagnod scende a Champoluc. Questa grande e antica dimora è nascosta, direi meglio protetta tra le case della frazione, e ci sono venuto più volte in estate a incontrare amici che sapevo ospiti.
A scoprirla e a sistemarla per le vacanze è stato il carissimo don Mario Maculan, parroco di Pollone dal 1963 al 2011 e mancato a 92 anni nel 2016.
Che la baita sia ancora una istituzione per i biellesi, lo si capisce semplicemente leggendo la bella tavola di legno appesa a fianco dell’entrata, disegnata da Amedeo Martinez e pittografata da Pietro Mosca, pollonesi entrambi. “Non vi apro solo la porta, vi apro il cuore”. Il sorriso gentile e discreto di don Mario c’è tutto in quei semplici tratti, a garantire un’accoglienza che non manca mai. Oltre ai parrocchiani di Pollone, la baita ha accolto nel tempo anche quelli della Valle Oropa, con don Paolo Boffa, e di Candelo, con don Attilio Barbera.
Precari e felici
Proprio la contagiosa simpatia di don Barbera è all’inizio della mia storia con la valle d’Ayas. Per alcuni anni dei primi anni Settanta, la parrocchia di Mosso organizzò un campeggio nella baita che vedete in foto sul panoramico pascolo alla destra della strada per Antagnod.
Dopo don Barbera, come viceparroco ci venne con i ragazzi don Ezio Saviolo. Lasciata libera per le precarie condizioni di accesso e di servizio, l’affittammo insieme ad alcuni amici, inizialmente per occuparla d’inverno, avendo la pista di fondo che gli gira attorno.
E questa situazione precaria continua ancora oggi, regalandoci però delle splendide giornate di vacanza che ricordano molto l’esistenza semplice di un tempo, alla luce di lampade a gas e senza la pubblicità ad interrompere il film della vita.
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