Giornata Mondiale dell’Epatite: «È tempo di agire»

In Asl è attivo un programma di screening gratuito per la diagnosi dell’Epatite C: ecco come fare

Ogni anno il 28 luglio, si celebra la Giornata Mondiale dell’Epatite, per sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi legati all’epatite; il tema scelto per quest’anno recita “È tempo di agire”. Serve infatti accelerare l’azione per migliorare la prevenzione, la diagnosi e il trattamento per salvare vite e migliorare gli esiti di salute. Per la diagnosi dell’Epatite C. è sempre attivo il programma di screening, che è completamente gratuito ed è rivolto ai cittadini biellesi nati tra il 1969 e il 1989 e ai cittadini stranieri temporaneamente presenti.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta che ogni 30 secondi nel mondo una persona muore per una malattia legata ad una delle forme di epatite virale, un’infiammazione del fegato che causa gravi patologie epatiche come la cirrosi e il cancro. Esistono 5 ceppi principali del virus dell’epatite: A, B, C, D ed E. Insieme, l’epatite B e C rappresentano le infezioni più comuni e si stima che globalmente causino 1,3 milioni di morti e 2,2 milioni di nuove infezioni all’anno.

Focus sull’epatite C

Negli ultimi anni l’attenzione si è focalizzata in particolare sul virus dell’epatite C, la cui eradicazione entro il 2030 è diventato un obiettivo dell’OMS anche grazie alla scoperta di farmaci antivirali sicuri ed efficaci, i cosiddetti farmaci antivirali diretti (DAAs) disponibili in Italia dalla fine del 2014, in grado di permettere la completa guarigione del paziente dall’infezione in assenza di effetti collaterali importanti.

Lo scopo del trattamento antivirale è di modificare in maniera significativa la storia naturale della malattia, prevenendo la comparsa di cirrosi e di manifestazioni extraepatiche, riducendo le complicanze nei pazienti già cirrotici e, di conseguenza, la mortalità in questi pazienti. La guarigione post trattamento antivirale permette inoltre di eliminare il rischio di trasmissione dell’infezione con importanti ricadute sull’incidenza di nuovi casi (da qui il concetto di trattamento come prevenzione).

Questa scoperta, unitamente alla semplificazione della diagnosi di infezione e della valutazione dello stato di salute del fegato, che non necessitano più di accertamenti invasivi come la biopsia epatica in passato, rappresentano le basi per pensare di trattare e guarire tutti i soggetti positivi al virus dell’epatite C (HCV) interrompendo di fatto la diffusione del contagio e prevenendo lo sviluppo di malattia epatica avanzata.

L’infezione acuta da HCV può avere un esordio insidioso con calo dell’appetito, nausea, vomito, febbre, dolori addominali e ittero (colorazione giallastra della cute e delle sclere) ma nella maggior parte dei casi è asintomatica. Inoltre un’elevata percentuale di casi, stimata fino all’85%, va incontro a cronicizzazione con sviluppo di un processo infiammatorio a livello epatico che può evolvere in fibrosi (di gravità crescente da F0 a F4). Di questi il 20-30% sviluppa cirrosi nell’arco di 10-20 anni che può evolvere in tumore del fegato in circa l’1-4% dei casi. La velocità di progressione della malattia può variare considerevolmente ed è fortemente influenzata da fattori come obesità, steatosi, diabete, consumo di alcolici, co-infezioni virali (HBV e HIV) e presenza di altre patologie epatiche.

Uno dei principali ostacoli al raggiungimento dell’eradicazione dell’epatite C è rappresentato proprio dal fatto che l’infezione rappresenta una malattia subdola che non dà segno della sua presenza fino allo sviluppo di quadri epatici moderati o gravi. Questo si riflette nel fatto che molte persone non sono consapevoli del loro stato infettivo e sono quindi a rischio di contagiare altre persone, oltre che di sviluppare le conseguenze di un’infezione cronica.

In Italia è possibile stimare una prevalenza di infezione attiva fra lo 0,9% e il 2,3%. Considerando che le persone infette che hanno uno stadio di fibrosi F0-F3 sono potenzialmente asintomatiche, sono circa 300mila le persone inconsapevoli di essere affette dal virus HCV e non ancora trattate, che vanno a costituire la cosiddetta “popolazione sommersa” la quale rappresenta il target primario degli interventi di informazione e screening avviati a livello nazionale.

Il contagio avviene principalmente tramite trasmissione ematica, con modalità che sono cambiate considerevolmente nel tempo, riflettendo sia l’evoluzione della medicina sia i cambiamenti sanitari e sociali. La trasfusione di emoderivati ha rappresentato il principale fattore di rischio per l’infezione da virus dell’epatite C (HCV) prima dello screening per l’epatite non-A e non-B, iniziato a metà degli anni Ottanta, seguito dallo screening per gli anticorpi dell’HCV nel 1990. Attualmente l’uso di droghe per via iniettiva rappresenta la principale via di trasmissione dell’HCV. Altre vie di trasmissione descritte includono il contagio da madre a figlio al momento del parto, il contatto accidentale con aghi o altre attrezzature contaminate, la condivisione di oggetti contaminati quali strumentario per manicure, pedicure, rasoi o spazzolini da denti ed effettuazione di tatuaggi o body piercing con strumenti non sterilizzati.

In Italia le politiche sanitarie che hanno determinato l’accesso ai farmaci antivirali diretti hanno avuto una rapida e soddisfacente evoluzione, portando all’istituzione di un progetto nazionale di screening gratuito rivolto alla popolazione generale (coorte 1969-1989) e, indipendentemente dall’anno di nascita, alla popolazione in carico ai Servizi per le Dipendenze (Ser.D) e alla popolazione carceraria.Giovedì scorso Rosetta Orso, medico del Ser.D di Biella e Sabrina Patti, infermiera del Ser.D sono state presenti al Drop in di Biella per eseguire i test rapidi HCV.

È sempre attivo il programma di screening per la diagnosi dell’Epatite C., che è completamente gratuito ed è rivolto ai cittadini biellesi nati tra il 1969 e il 1989 e ai cittadini stranieri temporaneamente presenti. Sarà sufficiente venire al centro prelievi dell’ospedale dalle 7 alle 9.30 o del poliambulatorio di Cossato dalle 7 alle 9, dal lunedì al venerdì con la tessera sanitaria. Si potrà eseguire il prelievo per l’Epatite C anche contemporaneamente ad altri prelievi già programmati. Non serve né prenotazione né impegnativa del medico. L’obiettivo è quello di identificare le infezioni da virus dell’Epatite C ancora non diagnosticate e di guarirle.

Nell’ambito dell’applicazione delle indicazioni derivanti dal progetto nazionale di screening, i pazienti in carico nella struttura complessa servizio per le dipendenze – Ser.D diretta da Lorenzo Somaini, vengono sottoposti a test rapido per la ricerca degli anticorpi HCV mediante fingerstick, vale a dire tramite la sola puntura di un polpastrello per il prelievo di sangue capillare. L’effettuazione di un test rapido, che garantisce una risposta sullo stato anticorpale in pochi minuti, aumenta la consapevolezza del paziente rispetto al proprio stato di salute e permette un incremento del numero di soggetti inviati alla valutazione epatologica e al trattamento. Il test di screening viene inoltre associato ad interventi di counselling rispetto alle modalità di trasmissione e alle complicanze dell’infezione da HCV, rivolti anche ai soggetti risultati negativi al test.

Le parole di Lorenzo Somaini

«La nostra struttura ha sottoposto a test di screening per gli anticorpi dell’epatite C a quasi 600 pazienti. Un piccolo numero di questi pazienti è successivamente risultato positivo alla presenza di infezione attiva ed è stato di conseguenza avviato al trattamento. Questo è stato reso possibile dalla collaborazione, attiva da diversi anni, tra la Ser.D e ambulatorio di epatologia dell’ospedale gestito da Paolo Scivetti» dice Somaini, direttore del Ser.D. «L’obiettivo è continuare le attività di screening al Ser.D, migliorare ulteriormente la cosiddetta fase del linkage to care, vale a dire l’insieme delle attività che permettono di costruire percorsi diagnostico terapeutici adeguati ad ogni bacino che contiene pazienti diagnosticati ma non curati. In questo senso, i medici e gli infermieri appartenenti al Ser.D stanno lavorando anche in collaborazione con gli altri specialisti del dipartimento Interaziendale patologie da dipendenza che vede a capo Somaini, e con il servizio Drop-in dell’Asl per portare avanti una cultura di salute all’interno dei Ser.D e la creazione di reti territoriali efficaci e snelle che permettano il trattamento di tutti i pazienti risultati positivi allo screening».

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