La storica educatrice di Anffas da mercoledì sarà in pensione

Ultimo giorno di lavoro per Carla Bagnalone, che racconta: «Una professione in cui servono una sensibilità e un’attenzione uniche»

Mercoledì sarà un giorno molto particolare per Carla Bagnalone, che andrà in pensione dall’Anffas. «In realtà già da qualche tempo tutto mi sembra un po’ strano» dice. «Andare al lavoro per l’ultima volta e poi essere in pensione, lo sarà ancora di più. Non riesco ad abituarmi all’idea. Anche perché io amo il mio lavoro di educatrice professionale e in Anffas ho trovato un ambiente ideale. Non solo per i tanti ospiti che ho curato e aiutato, che sono sempre stati speciali. Pure con i colleghi, negli anni, ho sempre instaurato un bellissimo rapporto. Ora mi attende una nuova fase della vita, che aspetto con una certa curiosità. Tutto è avvenuto così in fretta… Si è aperta infatti la possibilità del prepensionamento, alla luce del fatto che il nostro è un lavoro gravoso, e ho accettato».

Carla Bagnalone, 63 anni, prova a riassumere i tanti momenti vissuti al Centro diurno di Gaglianico: «Ho iniziato nel 1995. All’epoca non ero specializzata. Nel 2002 mi sono laureata, diventando educatrice professionale. In tanti anni il lavoro è cambiato, soprattutto perché ho studiato, accumulato esperienze e competenze. Alla base di questa professione resta la disponibilità a un lavoro non semplice, con ragazzi e ragazze sensibili e unici, cui vanno dati un’attenzione e una dedizione non comuni. Forse è anche per questo che molti giovani lasciano questo mestiere, in generale, dopo pochi anni. A fronte di stipendi normali, servono un’energia e una passione non comuni per lavorare in questo settore. Io sono sempre entrata in Anffas con il sorriso sulle labbra e con lo stesso sorriso ho finito i miei turni di lavoro. Ma non è scontato per tutti».

E ancora, aggiunge: «Negli anni ci sono stati un’infinità di momenti belli: gite, progetti portati a termine e feste. Qualche momento brutto? Certo, direi tutti quelli legati ai lutti. Uno in particolare, quando un ragazzo del centro fu colpito da un infarto. Lo aiutammo subito, soccorrendolo e chiamando l’ambulanza. Ma non ci fu nulla da fare. Morì tra le nostre braccia. Ancora oggi non riesco a dimenticarlo, pur essendo passato un po’ di tempo. Mi sono sentita impotente. Ogni giorno che ho trascorso ad Anffas, invece, pur essendo magari stanca, mi sono sentita bene. Utile per il prossimo, al di là che fosse il mio lavoro e quindi pagata. Questi trent’anni di lavoro li porterò sempre nel cuore».

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