Luca Prina, l’uomo dietro l’allenatore

Intervista al nuovo tecnico della Biellese tra emozioni del passato e prospettive per il futuro con il bianconero come filo conduttore e in attesa di un ripescaggio in serie D difficile ma non impossibile

La Biellese 2024/25 riparte da mister Luca Prina, un tecnico dalla grande esperienza con un passato su panchine di piazze importanti del nostro calcio come Virtus Entella, Mantova e Pro Patria che ha scelto di tornare a Biella per dare slancio al progetto bianconero.

Un’idea societaria che, in attesa di capire in quale categoria militeranno i lanieri tra l’Eccellenza e un possibile ripescaggio in Serie D, punta con ambizione a rimettere la compagine bianconera sulla mappa del calcio che conta dove manca da tanto, troppo tempo.

In quest’intervista però vogliamo dare la priorità all’uomo Luca Prina, una persona con le idee chiare e con una grande qualità: non cadere mai nella banalità.

Nella testa del nuovo tecnico biellese un solo grande obiettivo: riportare in alto i bianconeri.

Mister Prina, torna sulla panchina della Biellese a 15 anni di distanza dall’ultima volta. In cosa si sente cambiato e cosa invece è rimasto immutato in questo arco di tempo?

Per chi fa questo mestiere cambiare ed evolversi deve essere la norma, sarebbe negativo essere lo stesso tecnico che ero 15 anni fa. Quello che è rimasto immutato è la passione per questi colori che è un qualcosa sempre molto coinvolgente.

Se diciamo la parola “Biellese” qual è il suo primo pensiero?

La mia infanzia, la mia vita. Dal terrazzo di casa mia vedevo lo stadio La Marmora, mia mamma mi ha fatto vivere questi colori fin dai primi anni, tanto che il mio sogno da bambino era quello di diventare il custode dello stadio per poterci vivere dentro (sorride, ndr).

Potendo rivivere un solo momento di grande gioia della sua carriera in panchina quale sceglierebbe?

Fortunatamente ce ne sono stati tanti e tutti estremamente emozionanti, ogni momento che ho potuto vivere con questi colori è stato indimenticabile e ha un posto speciale nel mio cuore. Se dovessi sceglierne solo uno tornerei al 18 marzo 2009, giorno di Biellese-Spezia 0-0. Una gara con oltre 4000 spettatori sugli spalti nonostante fosse un match infrasettimanale e di pomeriggio, se ci penso provo ancora rabbia per non aver portato a casa una vittoria che avremmo meritato per quanto visto sul campo.

Nel corso della sua avventura in panchina ha allenato in diverse piazze importanti del calcio italiano. Se dovesse citare il giocatore più forte che ha allenato su chi ricadrebbe la sua scelta?

Innanzitutto devo ringraziare chi mi ha dato la possibilità di allenare giocatori forti. Ne ho avuti tanti che meriterebbero una menzione non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto caratteriale e di resilienza. Ighli Vannucchi è stato un giocatore che mi ha emozionato, una persona eccezionale con cui ancora oggi sono in contatto. Anche Adrian Ricchiuti è uno di quei giocatori che ricordo con piacere, un combattente con la classica “garra” argentina: peccato fosse a fine carriera e martoriato dagli infortuni ma vederlo anche solo in allenamento era qualcosa di speciale.

È stata un’emozione allenare giocatori importanti, anche tutto il gruppo della Biellese che nel 2009 ottenne sul campo la serie C è stato qualcosa di unico, giocatori come Torromino e Ferretti hanno avuto un percorso importante.

Di cosa è più fiero della sua lunga esperienza nel mondo del calcio?

Non so se la parola giusta sia fierezza, ma sono contento perché ho lottato per una passione che ha dato un senso alla mia vita. Ho potuto vivere dando spazio alla mia passione, sono pochi quelli che possono fare del proprio amore una professione, un privilegio del quale vado molto fiero.

C’è un libro, un film o una canzone che la rappresenta?

Non ho un solo libro che mi rappresenta in particolare, mi ritrovo molto nella frase di Josè Mourinho: “Chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio”.

Ho sempre cercato di essere una persona curiosa in ogni ambito della vita, cercando di assorbire a 360 gradi da ogni esperienza.

Da tecnico qual è la più grande differenza nell’impostazione del lavoro tra un campionato professionistico e uno dilettantistico?

Sono stato fortunato a provare diverse categorie e questa esperienza mi porta a dire che spesso ho trovato grande professionalità tra i dilettanti e qualche volta mi è capitato di trovarne meno tra i professionisti.

Tutto dipende dalla struttura che ruota intorno alla società: l’organizzazione societaria, le strutture, i media, i procuratori. Posso dire che in questi primi giorni del mio ritorno a Biella la risposta è ampiamente positiva sotto ogni punto di vista. C’è la possibilità di lavorare nel migliore dei modi e non vedo l’ora di iniziare.

Allargando il discorso all’attualità come vede la Nazionale Italiana di Luciano Spalletti a questi campionati europei?

Sono sincero, ho visto solamente un tempo della gara di lunedì contro la Croazia perché mi sto occupando totalmente della Biellese. Mi sembra che non siamo una squadra da cinque stelle, ma ho visto veramente troppo poco per poter giudicare.

La tifoseria bianconera è al settimo cielo per il suo ritorno in panchina. Cosa possiamo dire ai supporters?

Sono nato e cresciuto con loro, per me sono sempre stati una spinta fortissima e in passato mi hanno regalato emozioni indimenticabili. Posso dire che sono stati uno dei tanti motivi per chi ho scelto di accettare questa sfida e il mio obiettivo, condiviso da tutto l’ambiente, è quello di farli sentire al settimo cielo tra nove mesi. Voglio ringraziare la società che mi ha dato la possibilità di tornare: sono felice di essere nuovamente l’allenatore della Biellese.

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