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Qualche parola si deve spendere. E volentieri. E non solo perché ha vinto un Tour de l’Avenir con un gregario biellese o perché si è imposto nella prima edizione del circuito del Castello di Valdengo. Oppure ancora non solo perché è stato illustre ospite nel Biellese, a cominciare da quella volta sul palco dello sportivo cossatese, o perché ha pedalato negli eccelsi anni Settanta del ciclismo laniero di Pella, Vercelli e Giancarlo Bellini, duellando in più di un’occasione proprio con quest’ultimo.
Qualche parola, forse di più, va spesa, prima di raccontare gli episodi “nostri”, perché Felice Gimondi - già, di lui si parla - è stato un grande uomo e un campione grande. Uno di quelli che non ha costruito la sua leggenda con gli eccessi e la follia, ma che ha plasmato la sua icona con la tenacia e la normalità. Facendo del comportamento una regola. E forse questo l’aspetto che nei giorni in cui è doveroso piangerlo - dopo che un infarto venerdì scorso ha deciso di farlo salire sul fine corsa nell’acqua di Giardini Naxos - fa dell’eterno Gimondi un uomo, con una parentesi da atleta assolutamente eccezionale, da ammirare e portare ad esempio. Senza retorica alcuna e senza forzature quello che, raccolto il testimone di Coppi e Bartali, è stato il nostro Merckx potrebbe essere la faccia da stampare su una banconota o coniare su una moneta. La morte lo congeda solo dalla vita, lasciando intatto quel tassello di tricolore che lui, per modi e risultati, sarà sempre. Misurato ed educato, vincente e mai strafottente, tenace e orgoglioso, Gim era bergamasco che ha saputo essere di tutti. Perché se magari non concedeva alla realtà di diventare sogno, aveva fatto capire a tanti che i sogni potevano diventare realtà. Bastava farli passare, con abnegazione e sacrificio, dalla strada giusta. E pazienza se su quella strada trovavi il Cannibale. Lo stesso che, appresa la notizia della morte dello storico rivale, lo ha ricordato con quel «questa volta ho perso io», concedendogli le parole più belle e toccanti di questi giorni.
Adesso le storie nostre. Almeno le più eclatanti.
Nel 1964 il 21enne Felice Gimondi vince il Tour de l’Avenir, in pratica il Tour de France dei dilettanti, con l’aiuto prezioso e indispensabile di Renato Martinazzo, lo scoiattolo di Riabella. L’indimenticato scalatore biellese, 12° a quell’Avenir in maglia azzurra e primo dei grimpeur, scorta Gim sulle salite con un piglio che ha impallidito spagnoli e francesi.
Nel 1970 Felice Gimondi fa sua la prima edizione del circuito del Castello di Valdengo, la kermesse per professionisti che dopo il Giro d’Italia raccoglieva i migliori corridori per passerelle memorabili. Gim in quella fine di giugno esalta il pubblico attaccando a più riprese per poi vincere lo sprint a due a denti stretti su Bitossi. Li ha fatti tutti e otto i circuiti del Castello il bergamasco, ricevendo sempre calore e ovazioni dalla gente biellese. Nel 1972 ha vinto in maglia tricolore davanti a Panizza, nel 1975 ha finito secondo, come nel 1976 quando nel bel mezzo della volata finale con il belga De Muynck ha dovuto in pratica rialzarsi perché toccato da alcuni spettatori. Nel 1973 ha finito quinto, nel ’71 e ’74 ha terminato sesto. Solo nel 1977, nell’ultima edizione, si è ritirato.
Nel 1976 il legame tra Gim e qualcosa di laniero si tesse a Bassencourt, Svizzera Romanda. È il finale di tappa, il cossatese Giancarlo Bellini in maglia Brooklyn è all’attacco ma negli ultimi duemila metri attende Gimondi in maglia Bianchi che non vinceva da un po’. Il bergamasco tira per due chilometri, Bellini lo passa negli ultimi duecento metri con una volata incredibile: il campione, prossimo ai 34 anni, cede alla rabbia rifilando una manata sulla schiena alla nostra storica maglia a pois. Qualche minuto e i due si sarebbero chiariti. «Era un uomo di carattere, un capitano di quel ciclismo, mi permetto di dire non un fuoriclasse ma un campionissimo, un vero campionissimo» lo ricorda oggi Bellini. «Era un duro, sempre l’ultimo a cedere a Merckx. Felice è stato davvero un grande».
Nel 1988 non più da corridore Gimondi è ospite d’onore al Dancing Caravel di Cossato nella serata dello Sportivo dell’anno: il pubblico per lui è quello delle grandi occasioni. Ospite acclamato e ammirato, come lo è stato diverse altre volte nel Biellese negli anni a venire per serate, presentazione di libri, convivi e così via. Negli ultimi anni lo si è visto da noi in occasione degli approdi del Giro d’Italia, quando non si è mai sottratto a raccontare e ricordare. Nel 2007 dopo la crono vinta da Bruseghin a Oropa al nostro giornale spiegò: «Oropa? Non una salita durissima, però impegnativa, con una parte centrale molto selettiva. Il paesaggio è molto bello, la tappa è stata curata nei minimi particolari. Non c’è evento migliore del Giro d’Italia per promuovere un territorio».
A proposito di appuntamenti, a Biella ci è venuto per l’inaugurazione dell’Oropa Extreme bike, il progetto precursore della ciclabilità e dell’offroad da noi e soprattutto per una memorabile serata al Panathlon una ventina d’anni fa. Di lui parla Gianni Zola, uno dei nostri ex professionisti: «L’ho conosciuto personalmente proprio al Panathlon. Che ricordi, ci aveva fatto divertire quella sera». Zola, che con il suo negozio di biciclette negli anni è stato anche concessionario ufficiale Bianchi, ha incontrato Gimondi in diverse occasioni: «Un duro, un uomo ricettivo, coriaceo. Ho un bellissimo ricordo di lui. La sua morte così improvvisa mi ha colpito. Per me rappresentava la montagna, il granito, e vederlo andarsene in un attimo così non te lo aspetti». L’ultimo aneddoto è legato a Pantani: «Un giorno in Bianchi Gimondi mi fece vedere i disegni delle misure della bici del Pirata, raccontandomi di un incontro. Pantani lo fece andare sulle colline romagnole perché stava dipingendo. Restò perplesso, ma anche un metodico come lui accettò».
Negli anni Novanta sempre quando è uomo immagine Bianchi della Mercatone Uno di Pantani incrocia anche il biellese Sergio Barbero, compagno di squadra del Pirata. Ancora da uomo Bianchi conosce anche un altro Bellini, Marco, quando nel 2011 le biciclette biancocelesti sono quelle del team Androni di cui il cossatese all’epoca era direttore sportivo. Nelle ultime stagioni un ricordo diretto del Gim ce lo ha anche il lessonese Dario Fornasier che con i suoi team di mtb ha più volte incrociato la strada con il campione bergamasco.
Qualche storia, solo alcune storie queste. Per qualche parola. Perché per Gimondi qualche parola non si poteva non spendere. E volentieri.
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