La lettera del Vescovo per l’inizio dell’Avvento

Domani le prime celebrazioni, la corona dell’Avvento nelle chiese

Con i Primi Vespri di domani sabato 2 dicembre, la Chiesa si inoltra nel tempo liturgico dell’Avvento.

In Cattedrale a Biella, questo “incipit” è caratterizzato da una preghiera comunitaria alle ore 15, inclusiva di una peculiare riflessione del vescovo Alceste Catella sulla sacra Liturgia. È il sessantesimo compleanno della Costituzione del Concilio Ecumenico Vaticano II “Sacrosanctum Concilium”, incentrata sulla dimensione liturgica e celebrativa della Chiesa.

La “corona d’Avvento”

Simbolicamente nelle nostre chiese viene allestita la tradizionale “corona d’Avvento”, la disposizione di quattro ceri attorniati di rami verdi, un elemento mutuato dai paesi germanici e dall’America del Nord. Il Direttorio su pietà popolare e Liturgia n.98 ne illustra bene il significato: “la corona di Avvento, con il progressivo accendersi della sue quattro luci, domenica dopo domenica, fino alla solennità del Natale, è memoria delle varie tappe della storia della salvezza prima di Cristo e simbolo della luce profetica che via via illuminava la notte dell’attesa fino al sorgere del Sole di giustizia, il Cristo”.

La lettera del Vescovo

per l’inizio dell’Avvento

Ecco la lettera che monsignor Roberto Farinella rivolge ai diocesani:

Cari diocesani, inizia un nuovo tempo liturgico.

Avvento. Venuta. Il termine “venuta” è il significato di quella parola che dà il nome al periodo dell’anno liturgico che ci apprestiamo a vivere. Quattro settimane (in realtà quest’anno saranno solo tre e una domenica), vestite di viola, che ci preparano non solo a fare memoria di quella che è stata la prima venuta del Signore Gesù sulla terra, quando ha assunto su di sé la nostra carne e la nostra vita a partire dall’umile grotta di Betlemme, ma che ci presenta (soprattutto nelle sue prime due domeniche) il tema dell’attesa del ritorno finale di Cristo, quando Egli verrà nella gloria e si presenterà a noi definitivamente come il sovrano, giusto, fedele ed amorevole, di tutta la realtà e della nostra vita.

“Vieni, Signore Gesù” è la supplica che l’apostolo Giovanni pone al termine dell’Apocalisse (cfr. Ap 22,20) e che siamo invitati a ripetere in diverse forme ed occasioni durante questo periodo dell’anno, nell’attesa del giorno in cui tutto sarà compiuto.

Mi pare allora opportuno iniziare a porre la nostra attenzione proprio per queste due prime settimane (escatologiche) dal brano di Marco della Liturgia di questa prima domenica d’Avvento, che precede immediatamente l’inizio del racconto della Passione. Come in tutti i vangeli sinottici, gli ultimi capitoli di “vita pubblica” del Maestro sono interessati da parole circa gli ultimi tempi. In modo particolare Gesù si rivolge al suo uditorio con l’immagine di un padrone che si allontana dalla sua tenuta e che, dopo molto tempo, ritorna (riecheggiano ancora in noi le parabole dello sposo che, dopo una lunga attesa, giunge presso le dieci vergini e quella del padrone che, dopo un’importante assenza, torna dai suoi tre servitori per chiedere loro conto dei beni concessi). La fine della Storia è dunque presentata come un ritorno a casa da parte di Dio nelle vicende degli uomini, il ritorno a casa di un padrone che vuole ristabilire un rapporto con i suoi servi, con coloro ai quali ha consegnato in toto la gestione della sua casa e il potere su di essa.

Se riflettiamo a fondo, infatti, scopriamo come la nostra esistenza sia in realtà una perenne attesa, un irriducibile desiderio, un inestinguibile anelito verso qualcosa, o qualcuno, che sentiamo appartenerci anche se ci sfugge. Percepiamo di averne bisogno, che siamo fatto per questa dimensione, pur constatando che sfugge alle umane forze: nel nostro cuore è vivo il ricordo di questo padrone, del quale però non ricordiamo più il volto, né udiamo la voce. Giusta è proprio la definizione di Blaise Pascal secondo il quale “quest’abisso infinito non può essere colmato se non da un oggetto infinito e immutabile, ossia Dio stesso” (Francesco, Sublimitas et miseria hominis. Lettera apostolica nel IV centenario della nascita di Blaise Pascal).

L’invito di Cristo a vegliare in questo tempo drammatico di lotte e lacerazioni ci pone la sana inquietudine che i riesce a vegliare solo quando si ricorda della ragione per cui non ci si corica, facendo memoria del perché o meglio del per-Chi rimaniamo vigili. Affinché il Signore non ci trovi lontani da lui al suo ritorno, facciamo memoria di questa nostra Fede, di questo grande tesoro che ci è stato gratuitamente affidato.

La veglia è ardua, la notte è profonda, eppure ci ricorda chi siamo e chi attendiamo con gioia e con carità.

Buon avvento

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